La cannabis per la vulvodinia vista da pazienti e medici
La vulvodinia è una patologia ginecologica che presenta sintomi differenti è che è difficile diagnosticare, anche perché spesso viene confusa con altri disturbi come la cistite o la candida.
A complicare ancora di più la vita delle pazienti che ne soffrono – si calcola che colpisca il 12/15% delle donne con particolare incidenza nella fascia tra i 18 e i 35 anni – c’è il fatto che si tratta di una patologia non riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale, nonostante l’Oms l’abbia riconosciuta nel 2020 definendola come “una sensazione cronica di dolore, bruciore o irritazione della vulva”.
Nell’aprile del 2022 è stato presentato un disegno di legge che punta al suo riconoscimento anche in Italia, ma per ora non sono stati fatti passi avanti. Per capire meglio la situazione delle pazienti e le potenzialità terapeutiche della cannabis nel trattarla, ne abbiamo parlato con Rosanna Piancone, infermiera e presidente dell’associazione nazionale Cistite.info APS, oltre che con la dottoressa Chiara Liberati, direttore sanitario di Clinn e con la dottoressa Raffaella Aliperti, ostetrica che lavora presso il poliambulatorio milanese.
“Il problema della vulvodinia è che non è ancora riconosciuta dal SSN e questo innanzitutto ritarda i tempi di attesa per avere una diagnosi e quindi anche i tempi per poter procedere con una terapia adeguata. La maggior parte delle diagnosi di medici che non conoscono questa patologia, è di cistite o di candida recidivante e quindi le pazienti vengono trattate per queste problematiche, con antibiotici e antimicotici, il che, no solo non risolve la patologia perché non si tratta di infezioni ma di altro, ma peggiora poi il quadro clinico e anno dopo anno la sintomatologia peggiora sempre di più”.
Secondo la presidente di Cistite.info (nella foto) infatti “se all’inizio coinvolge solo il tessuto vulvare (la vulva è la parte esterna dei genitali femminili), via via col tempo le terminazioni nervose vengono coinvolte sempre di più e il problema diventa neuropatico, quindi non più locale ma sistemico a livello neurologico”.
Cistite, candida e vulvodinia
“Le differenze a livello sintomatologico sono poche”, continua a spiegare Rosanna Piancone, “ed è per questo che spesso i medici confondono le patologie anche perché non c’è una formazione universitaria in materia. Sia la cistite che la vulvodinia ad esempio provocano problemi di frequenza o urgenza urinaria o di dolore durante la minzione. Idem la candida che provoca prurito, perdite e dolore, tutti sintomi che vengono provocati anche dalla vulvodinia”.
Gli antibiotici, se la paziente non ha un’infezione in corso, rovinano la flora batterica vaginale, con il rischio di far aumentare il rischio di infezioni reali, che infiammano e aggravano ulteriormente la patologia. "Fino a quando non diventa un problema neuropatico e, a quel punto, i medici esperti che sanno riconoscerla trattano le pazienti proprio dal punto di vista neuropatico, e quindi con neuroepilettici o antidepressivi. Questo per mettere a riposo il sistema nervoso che è continuamente sollecitato a livello locale. Inoltre, quando si prova dolore, il corpo tende a contrarsi come reazione difensiva, e questa contrattura va a schiacciare ulteriormente i nervi che si trovano nel pavimento pelvico, aggravando ancor di più le cose. Quasi tutte le donne vulvodiniche hanno infatti un ipertono del pavimento pelvico, problematica che viene trattata con farmaci miorilassanti”.
Come la cannabis può aiutare
“Con la cannabis si riuscirebbe a risolvere sia un problema che l’altro, e quindi sia il problema neuropatico che l’ipertono del pavimento pelvico”, puntualizza Rosanna Piancone. Il motivo sta bel fatto che: “La cannabis da una parte e toglie il dolore, dall’altra rilassa la muscolatura e regolarizza la trasmissione nervosa. E non avremmo i gravi effetti collaterali che si hanno spesso con i farmaci miorilassanti, antidepressivi o antiepilettici”.
Quindi una soluzione potrebbe essere quella di avere una diagnosi precoce e iniziare subito un trattamento con la cannabis? “Sì, assolutamente. Attualmente la cannabis viene vista come l’ultimo rimedio possibile, ma a mio parere dovrebbe essere la terapia di prima scelta, perché non ha effetti collaterali e, dalla nostra esperienza, ha dei risultati equiparabili se non addirittura migliori”.
Anche in questo caso: “Servono medici che siano competenti nella terapia con cannabinoidi, che deve essere individualizzata per funzionare a pieno”.
Il punto di vista del medico
“Abbiamo due certezze: la prima è che non sappiamo perché nelle pazienti si sviluppi la vulvodinia, l’altra è che non ci sono terapie efficaci. Due certezze che si traducono in amarezza e sconforto per chi ne è affetto”, sottolinea la dottoressa Chiara Liberati, che è il direttore sanitario di Clinn.
“La cannabis terapeutica ben scelta e ben dosata, con una prescrizione che può essere combinata visto che si stanno usando molto anche i prodotti topici, e quindi una proposta terapeutica in funzione delle problematiche della paziente, avrebbe un grande valore terapeutico, oltre che di risparmio delle casse dello Stato, visti tutti i risvolti che provoca una malattia non curabile".
La dottoressa continua spiegando che: "La cannabis effettivamente non è soltanto un antidolorifico o un analgesico, ma è molto di più, riesce veramente a fare un lavoro anche sulla componente muscolare, essendo un antispastico e un miorilassante e anche sulla componente dell’ansia o delle problematiche legate alla sfera psicologica, sull’insonnia che può essere primaria o secondaria. Non dimentichiamoci che si tratta di donne che vivono un disagio anche nel rapporto con il proprio partner o nell’avviare una possibile relazione, che non è da trascurare”.
Secondo la dottoressa, “Un po’ come accade per la fibromialgia, l’emicrania, o situazioni con dolori neuropatici di causa sconosciuta, vede la cannabis come una soluzione che quantomeno dovrebbe essere contemplata nelle linee guida, cosa che ancor oggi non accade, nonostante da quello che ci dicono i pazienti la cannabis fa la differenza”.
Il protocollo sistemico messo a punto da Clinn
“Con Clinn stiamo diventando il centro pilota, su Milano e probabilmente in Lombardia, nell'utilizzo un protocollo avanzato per il dolore pelvico cronico”, sottolinea la dottoressa Raffaella Aliperti, ostetrica presso il poliambulatorio.
“i disturbi di vulvodinia, che non si limitano al dolore pelvico visto che spesso comprendono disturbi a livello urinario, vengono trattati con una buona dose di successo dall’abbinamento di radiofrequenze, elettroporazione e CBD, che può essere somministrato in via locale o sistemica. Il lavoro deve essere d’equipe perché è una patologia che può essere innescata da differenti cause, e quindi serve una diagnosi differenziale perché quello che funziona su una paziente potrebbe non funzionare su un’altra. Non possiamo immaginare la terapia con i cannabinoidi come unica terapia ma come un valido sostegno in molte forme di vulvodinia. Spesso dobbiamo immaginare un approccio sistemico, e quindi, oltre ai cannabinoidi, possiamo considerare una serie di interventi, come la fisioterapia, che facciamo quando prepariamo il piano terapeutico”.
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“La priorità è chiedere che non diventi legge il decreto sul CBD, perché ci serve per riuscire a sopportare il dolore e a guarire", conclude la presidente di Cistite.info Rosanna Piancone. "E poi che venga riconosciuta la patologia e che venga inserita nei LEA, oltre che insegnarla nelle specialistiche di ginecologia e urologia: sarebbe importante per accorciare i tempi delle diagnosi”.
L’associazione Cistite.info APS opera a livello nazionale, consigliando i migliori medici per trattare la patologia a seconda di dove risieda la paziente, selezionati in base alle recensioni dei soci. Per associarsi basta compilare il modulo presente sul sito Cistite.info e corrispondendo la quota annuale di 10 euro. Con molti medici che collaborano con l’associazione sono state stabilite delle convenzioni per agevolare visite ed esami, anche perché, non essendo una patologia riconosciuta, i costi sono tutti a carico delle pazienti. Infine, per le pazienti in difficoltà economica in prima fascia Isee, è la stessa associazioni a pagare visite ed esami, dando un buono per acqiustare i farmaci e offrendo gratuitamente i corsi. La volontà dell’associazione è di fare la stessa cosa anche per le pazienti in seconda fascia Isee, ma necessitano di fondi ulteriori. Se vuoi fare una donazione libera o del 5 per mille, trovi tutti i riferimenti qui