Le ricette relative alle formulazioni galenichea base di cannabis (ma non solo) non possono essere trasmesse dai medici tramite PEC e firma digitale come avviene invece per gli altri farmaci. Ad affermarlo, in seguito a una richiesta di chiarimento inviata dai professionisti del settore, è una circolare del ministero della Salute, che ha risposto attraverso la Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico. Il divieto sembra coinvolgere anche i farmaci veterinari.
Cannabis e l'invio di ricette tramite PEC
Secondo la circolare del Ministero della Salute, “la dematerializzazione delle prescrizioni mediche, disciplinata dal Decreto interministeriale del 2 novembre 2011, è prevista esclusivamente per i medicinali registrati con numero di AIC assegnato dall’AIFA. La prescrizione può essere effettuata dal medico abilitato solo all’interno del sistema digitale predisposto ad hoc dal Ministero dell’economia e delle finanze e dal Ministero della salute, secondo le disposizioni della normativa vigente”.
La ricetta elettronica, già introdotta nel 2017 per i farmaci industriali a uso umano e nel 2019 per i farmaci industriali a uso veterinario, è stata ulteriormente potenziata nel marzo 2020 per i farmaci stupefacenti industriali a uso umano per semplificare le cure e la comunicazione tra medici, assistiti e farmacie nel contesto dell’emergenza sanitaria, così da limitare la circolazione delle persone soprattutto nelle prime fasi della pandemia.
I medicinali a base di cannabis e il divieto di ricette tramite PEC
Per saperne sulla questione abbiamo intervistato il farmacista Marco Ternelli.
Come avviene, di norma, la dispensazione di medicinali a base di cannabis?
La dispensazione avviene con una ricetta non ripetibile che vale 30 giorni e che qualsiasi medico può redigere nel momento in cui parliamo di cannabis a carico del paziente, la cosiddetta ricetta bianca; ora, inoltre, in molte regioni la cannabis viene rimborsata dal Sistema Sanitario, per la quale però serve una ricetta cartacea differente, in quanto la normativa non ha digitalizzato le ricette dei farmaci galenici, a differenza dei farmaci industriali non mutuabili per i quali, sulla carta, la digitalizzazione è avvenuta a gennaio 2021.
Qual è la differenza, a livello di categorizzazione, tra un farmaco industriale per il quale è consentita la dematerializzazione e i farmaci a base di cannabis, per i quali la ricetta dematerializzata invece non è prevista?
È necessario anticipare un aspetto fondamentale. In questa decisione e in ottica generale, la cannabis in sé non c’entra, si distingue infatti solamente tra “farmaci industriali” e “farmaci galenici” e la cannabis rientra in questi ultimi. Quando si parla di farmaci industriali si fa riferimento a quelli prodotti dall’industria farmaceutica, che ha un suo database, un numero limitato e standardizzato di prodotti e per i quali è stato creato un sistema digitale nazionale attraverso il quale i medici trasmettono obbligatoriamente le ricette. I farmaci galenici, invece, sono potenzialmente infiniti, perché sono i farmaci che il farmacista prepara su richiesta specifica di un medico: le combinazioni, tra ingredienti, forma farmaceutica, dosaggio e associazioni di principi attivi, sono infinite e dunque è impossibile creare un catalogo.
L’aspetto più contraddittorio, però, è che nella medicina veterinaria la dematerializzazione delle ricette è avvenuta sia per i farmaci industriali che per quelli galenici. Questo è stato possibile perché, mentre per i farmaci industriali è presente una banca dati, per i galenici è stato dato campo libero al medico: il testo da scrivere nella ricetta è libero per le formulazioni galeniche, nel senso che non ci sono diciture o spazi preimpostati al momento della compilazione della ricetta. Questo sistema, però, esclude gli stupefacenti, quindi, se parlando in generale il limite nella veterinaria è superato, nel caso specifico della cannabis la problematica rimane.
E secondo lei non esiste una soluzione per dematerializzare le ricette galeniche anche per uso umano? Anche considerata la praticità della ricetta elettronica.
Basterebbe usare lo stesso sistema della veterinaria, ma questo non avviene. Poi, a dire la verità, a gennaio 2021 è entrato in vigore un Decreto che ha digitalizzato le ricette bianche a uso umano industriale, ossia quelle industriali non mutuabili, ma la realtà dei fatti è che non è stato ancora creato un sistema informatico adatto allo scopo, quindi le problematiche sono diverse e probabilmente saremmo in una situazione simile anche se venisse data la possibilità di dematerializzare le ricette galeniche.
Quali motivazioni ci sono alla base delle decisioni del Ministero in merito alla non digitalizzazione delle ricette galeniche?
Le motivazioni date dal Ministero sono due. Innanzitutto afferma che la PEC non è valida per le ricette galeniche perché il farmacista, di fatto, non può sapere se il medico ha inviato la stessa prescrizione per lo stesso paziente a più farmacie, ma la verità è che il farmacista non può saperlo nemmeno nel caso delle ricette cartacee: non si può sapere quante copie della stessa ricetta sono state fatte, se il paziente ne ha già ritirate in altre farmacie o sta per farlo. Insomma, se il problema non sussiste per le cartacee, a maggior ragione non può sussistere per le PEC.
Anzi, forse con il cartaceo il rischio è maggiore perché è più semplice, eventualmente, falsificare o creare copie della ricetta, mentre tramite PEC è tutto tracciato e, al bisogno, controllabile.
Esattamente, soprattutto se si considera che la firma digitale non è praticamente falsificabile, al contrario di uno scarabocchio a penna spacciato per firma; questo dimostra ulteriormente che il primo problema sollevato dal Ministero è un problema che non esiste. Voglio dire, se non è una problematica in caso di ricette cartacee, non può esserlo nemmeno per la PEC.
E la seconda motivazione del Ministero qual è?
Secondo il Ministero la PEC prevede l’utilizzo solo tra pubblica amministrazione, aziende e privati e non è previsto nessun altro uso. Anche questa motivazione però non ha fondamenta, perché farmacia, medico e paziente rientrano in queste categorie. Inoltre non c’è divieto specifico dell’utilizzo della PEC in questo contesto e, con la firma digitale, è equiparata in tutto e per e tutto a una raccomandata e una raccomandata può essere mandata a chiunque, così come una PEC può sempre essere inviata a un’altra casella PEC, insomma, è sempre valida. Non c’è un problema.
Poi c’è la ciliegina sulla torta: ossia il contrasto tra il Decreto e la circolare del Ministero che spiega le motivazioni. Quest’ultima infatti afferma anche nel caso dei farmaci galenici veterinari non è consentita la digitalizzazione delle ricette non solo per i medicinali stupefacenti, come dicevo all’inizio, ma per tutte le ricette galeniche veterinarie. È esattamente il contrario rispetto a quello affermato e autorizzato dal Decreto, tant’è che il sistema informatico veterinario nazionale è costruito a livello tecnico con un’area dedicata proprio ai galenici. Secondo questa interpretazione, allora tutte le ricette galeniche veterinarie digitali degli ultimi anni andrebbero sanzionate, ma questo non è possibile.
Quindi, di fatto, l’utilizzo della ricetta elettronica sarebbe possibile a livello pratico, ma ci sono degli intoppi a livello burocratico e decisionale.
Esattamente. L’interpretazione della circolare va contro il Decreto, anche se questa non ha valore vincolante perché è una sorta di linea guida, un’interpretazione del Decreto stesso. Il problema è che il farmacista così corre un rischio: da una parte rischia sanzioni attraverso il Consiglio disciplinare e dall’altra, andando contro la circolare del Ministero, si espone a sanzioni penali e/o amministrative, quindi è fondamentale chiarire questa questione. Inoltre in Italia, eventualmente, prima bisogna aspettare l’applicazione della sanzione e poi fare ricorso, è un iter burocratico infinito.
Come si potrebbe sbloccare questa situazione di incertezza e di contrasto tra circolare e Decreto?
Purtroppo, attualmente, l’unico modo per sbloccare la situazione in modo rapido sarebbe arrivare a una sanzione per una farmacia. Se una farmacia venisse sanzionata per le PEC, a quel punto il farmacista avrebbe un documento valido per fare ricorso e da lì potrebbe far ripartire l’iter attraverso il TAR, che a sua volta prenderebbe come punto di riferimento il Decreto e non la circolare. In questo modo si andrebbe (si auspica) verso l’assoluzione del farmacista creando un precedente. È una situazione tipica del nostro Paese.
Secondo lei, superata la distinzione tra farmaco industriale e farmaco galenico e soffermandosi sulla questione cannabis, esiste anche un pregiudizio in questo senso? O la cannabis è solo uno dei tanti ingredienti delle formulazioni galeniche a subire questa situazione?
Credo che gli interessi coincidano. Sicuramente per la cannabis però esiste un pregiudizio e non c’è il desiderio di semplificare le cose; basti pensare alle altre problematiche che la coinvolgono, come la mancanza di volontà ad aumentare le importazioni dall’estero per sopperire alle carenze interne; o al divieto di spedizione da parte delle farmacie; o al divieto di preparare forme farmaceutiche diverse dall’uso orale o inalatorio (es. colliri, creme, ecc…).
Così facendo però si creano anche delle distinzioni in termini di diritti alle cure, creando pazienti di serie A e pazienti di serie B.
Assolutamente, però di fatto è così, basti pensare a tutti i pazienti che rimangono inascoltati nonostante le numerose richieste inviate direttamente al Ministero.
Martina Sgorlon