Uno studio condotto su scala internazionale a proposito delle scelte di automedicazione con cannabis riconferma l’assenza quasi totale di informazione dai medici verso i pazienti. Oltre alla difficoltà di accesso al farmaco. La ricerca fa parte di un importante progetto mondiale di informazione scientifica sulle modalità di coltivazione personale della cannabis medica. Un articolo sul sito del National Institute for Health and Welfare finlandese riporta uno studio sulla piccola coltivazione e sulle modalità di utilizzo della cannabis terapeutica da parte di pazienti in 5 nazioni europee oltre all’Australia, per un totale di 5.300 persone intervistate. L’istituto dipende dal Ministero della salute finlandese, si occupa di prevenzione e cura di malattie e problematiche sociali e sviluppa servizi in ambito sanitario. Lo studio è condotto dal professor Pekka Hakkarainen del Department of Alcohol, Drugs and Addiction, National Institute for Health and Welfare di Helsinki.
La ricerca ha titolo “Growing medicine: Small-scale cannabis cultivation for medical purposes in six different countries” ed è stato prodotto con la collaborazione del Global Cannabis Cultivation Research Consortium, chiamato anche World Wide Weed. Fra le nazioni coinvolte nella ricerca non era presente l’Italia, dove non si trovano referenti dell’organizzazione. Le condizioni mediche trattate con cannabis riguardavano depressione e disturbi dell’umore, dolore cronico, ansia e panico, cefalee, disordini del’attenzione (ADD) e post traumatici (PTSD), asma, infiammazioni articolari e terapia per alcolismo.
Il questionario utilizzato per la ricerca era completamente anonimo. Le domande riguardavano anche l’esperienza di coltivazione, le sue dimensioni e i metodi, le ragioni della scelta, l’eventuale coinvolgimento in organizzazioni, i dati demografici. Il metodo di intervista è stato particolarmente curato per assicurare attendibilità delle risposte, anche considerando che il mondo dei coltivatori per uso terapeutico personale è prevalentemente sommerso e per ovvie ragioni tende a difendersi dai rischi derivati da leggi oscurantiste. In molti casi si è anche attivata una campagna di sensibilizzazione su social network, grow shop, eventi e locali pubblici per far comprendere come questa ricerca contribuisca a modificare i pregiudizi sull’utilizzo medico. Lo studio avviato da World Wide Weed si colloca per la prima volta su dimensioni mondiali e contribuisce a una migliore comprensione di questa consapevole scelta dei pazienti di tutte le nazioni. Interessanti risultati dello studio riguardano quindi i rapporti fra la motivazione a coltivare cannabis terapeutica e i rischi di sanzioni penali in base alle legislazioni dei diversi stati.
Due terzi dei coltivatori possedevano una diagnosi medica e circa uno su cinque aveva ricevuto dal medico curante una raccomandazione all’utilizzo di cannabis terapeutica. I medici scelti dal 9% del campione avevano però espresso opinione contraria alla terapia con cannabinoidi. Oltre il 50% dei pazienti non aveva comunicato al proprio medico la scelta di automedicazione con cannabis. Nella conclusione dell’articolo, l’istituto di ricerca finlandese sottolinea l’importanza di discutere con un medico l’opportunità di cominciare una terapia con cannabinoidi. Lo studio del Global Cannabis Cultivation Research Consortium aggiunge però che a fronte di una domanda in rapida crescita per l’accesso legale alla terapia, i pazienti che decidono di rinunciare alle medicine industriali non ricevono alcuna offerta di supporto da parte del personale medico.
Stefano Mariani