La cannabis terapeutica è disponibile nelle farmacie galeniche italiane ed in quelle ospedaliere a livello nazionale, anche se il quadro normativo demandato alle Regioni è ancora incerto e disomogeneo. L’informazione ai medici è scarsa e la maggior parte non sa che può prescrivere cannabis. La diffusione degli estratti, con THC o solo CBD, è frenata da dicembre 2015 con una norma restrittiva. Fra mercato nero, industrie del farmaco ed esperimenti di produzione italiana si delinea come sempre più centrale un attore che opera direttamente sul territorio: il farmacista galenico. Prima del suo intervento a Medicina Canapa 2015 abbiamo chiesto un’opinione al dottor Marco Ternelli, farmacista, responsabile di un laboratorio galenico e fondatore del sito di informazione Farmagalenica.it.
Cominciamo dagli strumenti d’informazione: cos’è e come è nata Farmagalenica.it?
Con questo portale ho voluto colmare una lacuna di conoscenza su una parte di lavoro del farmacista: credo infatti sia necessario informare il pubblico che il farmacista può preparare medicinali particolari, ad esempio quelli non più in produzione industriale o che richiedono particolari dosaggi personalizzati. Farmagalenica.it si rivolge poi ai pazienti che necessitano di un particolare farmaco galenico, ma che non conoscono quali laboratori siano in grado di produrlo: il motore di ricerca Cercagalenico.it è specifico per questo tipo di ricerche sulla base delle informazioni fornite dalle farmacie italiane. Infine offriamo ai professionisti un’informazione continuamente aggiornata sui farmaci galenici, che si affiancano ai farmaci industriali, ma ad oggi poco conosciuti dai medici.
Veniamo alla cannabis. In quali casi un medico italiano può prescriverla?
Secondo la legge, quando un paziente usufruisce a suo carico dei servizi medici e farmaceutici, il medico ha facoltà di prescrivere il medicinale che ritiene opportuno in scienza e coscienza, quindi in piena libertà di svolgere la propria attività professionale. Pertanto la cannabis può essere prescritta come farmaco di prima scelta se esistono evidenze scientifiche accreditate per la specifica patologia da affrontare. Le possibili applicazioni terapeutiche sono numerose e si riconferma quindi l’importanza di un’informazione ai medici che finora è venuta a mancare. Con la prescrizione a pagamento il medico può quindi superare le limitazioni per i farmaci mutuabili e prescrivere cannabinoidi naturali: ad esempio un medico mi ha richiesto cannabis come farmaco di prima scelta per un caso di tumore, con lo scopo di evitare gli effetti collaterali sulle funzioni intestinali causati dagli oppioidi.
Com’è invece regolata la prescrizione a carico del Sistema Sanitario Nazionale?
In accordo con il ministero della Salute ogni amministrazione regionale decide le linee guida e prontuari per i farmaci mutuabili, limitandosi però alle sole patologie indicate nel Decreto 9/11/2015. Pertanto il medico può prescrivere cannabis “mutuabile” e quindi rimborsata per le sole indicazioni terapeutiche approvate dalla propria Regione, e comunque solo nel caso in cui il paziente sia resistente alle terapie classiche. Lo scenario risulta quindi variabile: ad esempio in Veneto l’unica indicazione prevista riguarda la sclerosi grave e refrattaria a tutti i farmaci. In altre Regioni troviamo prescrivibile la cannabis per dolore neuropatico, sclerosi multipla, cachessia, nausea e vomito da chemioterapia. Nessun prontuario regionale la prevede per l’ipertensione, ad esempio, e quindi un medico che ne riscontrasse l’utilità non potrebbe prescriverla a carico del SSN.
Perché si prescrivono farmaci potenzialmente pericolosi come gli oppioidi invece di sperimentare la cannabis?
Il Ministero e molti medici considerano più sicuro un oppioide come prima scelta perché esistono esperienze decennali e indicazioni terapeutiche approvate. Troviamo una vasta letteratura clinica sull’utilizzo degli oppioidi, mentre sulla cannabis e sui preparati galenici si trovano poche ricerche accreditate. Uno studio del novembre 2014 ha però indicato che la cannabis riduce la mortalità da oppioidi, quando assunta in combinazione a questi; sappiamo anche che la cannabis non agisce sui centri del respiro e non è quindi in grado di dare depressione respiratoria. Pertanto esistono tutti i presupposti per avviare sperimentazioni ciniche.
Quali sono le varietà di cannabis approvate dal Ministero e quali differenze nei principi attivi?
La varietà più richiesta è il Bedrocan con alto tasso di THC, contro dolore neuropatico o tumorale, nausea e vomito da chemioterapia, sclerosi, cachessia e inappetenza derivata da AIDS. Bedrobinol e Bedica sono meno diffuse, mentre il Bediol viene prescritto quando si manifestano eccessivamente gli effetti psicotropi del Bedrocan o quando il medico ritiene utile un maggior tenore di CBD, ad esempio come antiepilettico, nella fibromialgia e contro il morbo di Parkinson. Ora, oltre a Bediol, il medico può prescrivere Bedrolite che contiene solo CBD. Ricordiamo i contenuti delle diverse varietà importate in Italia e prodotte dall’unica azienda autorizzata alla coltivazione dal Ministero della Salute olandese: Bedrocan THC 22%, CBD <1%; Bedica THC 14%, CBD <1%; Bedrobinol THC 12%, CBD <1%; Bediol THC 6%, CBD 7,5%. A queste si è recentemente aggiunto Bedrolite titolato a < 0.4% THC e 9% CBD.
Quali sono i costi di una terapia con cannabis?
Naturalmente dipende dalle patologie. Le diverse terapie con cannabis richiedono dosaggi molto variabili e non essendo un farmaco industriale in confezione prestabilita, il costo mensile non è calcolabile a priori. In questo caso le confezioni sono preparate dal farmacista sulla base della ricetta medica e, in media, una terapia di 60 cartine con dosi da 100 mg di Bedrocan, un dosaggio medio, può costare 180-190 euro al mese. È importante non ragionare solo in termini di costo al grammo ma di quantità di principio attivo effettivamente contenuta nell’infiorescenza. Senza analisi di laboratorio che certifichino i tenori di THC e CBD non ha senso confrontare i prezzi al grammo.
Si parla molto degli estratti di cannabis. Cosa dice la legge?
Nel febbraio 2013 è entrato in vigore in Italia il decreto che autorizzava l’uso terapeutico della cannabis grezza (raw), inclusi estratti e tinture. Questo si è reso necessario per autorizzare la distribuzione del Sativex, che è appunto un estratto di principi attivi dall’infiorescenza e della foglia. Poiché la preparazione della cannabis è lasciata al farmacista e poiché non è coinvolta una industria farmaceutica nella sua commercializzazione, non c’è stata alcuna comunicazione organica ai medici, che nella maggior parte dei casi non sono a conoscenza della prescrivibilità di questi farmaci.
Il ministero della Salute ha emesso il decreto del 9/11/2015 per la regolamentazione della cannabis terapeutica e dei suoi estratti, rendendo quasi impossibile la preparazione galenica di estratti in farmacia. Vengono infatti richieste analisi della titolazione in cannabinoidi per ogni singola preparazione magistrale con metodi specifici e sensibili come ad esempio gascromatografia o HPLC (High Performance Liquid Chromatography) accoppiati a spettrometria di massa, che richiedono strumenti costosissimi difficilmente acquisibili da una normale farmacia galenica.
Il Ministero quindi non ha compreso il problema degli estratti?
Incuriosisce il fatto che il ministero della Salute richieda questi due metodi, uno in alternativa all’altro. Queste tecniche di analisi sono diverse fra loro: con il sistema HPLC si può analizzare solo la parte decarbossilata di cannabinoidi e quindi si ottengono valori diversi rispetto ai risultati della gascromatografia. Autorizzando questi due metodi contemporaneamente si otterrebbe quindi una grande confusione nella lettura dei principi attivi contenuti negli estratti. Ma soprattutto con questa regolamentazione riuscirebbero a rimanere sul mercato della produzione di estratti forse 10 – 20 farmacie in tutta Italia, contro le attuali 300 che forniscono cannabis direttamente ai pazienti su prescrizione.
Importeremo tecniche e strumenti di estrazione dai Paesi dove una maggiore normalizzazione della cannabis ha favorito ricerca e sviluppo tecnologico?
In una previsione ottimistica potrebbe essere il farmacista stesso ad apprendere ed eventualmente importare metodi e tecnologie per il proprio laboratorio. Non esiste obbligo per il farmacista sulle modalità di estrazione, mentre l’industria farmaceutica è soggetta a normative più rigide: se una nuova azienda volesse entrare nel mercato europeo della cannabis medica avrebbe bisogno di 7-10 anni prima di aver portato a termine tutti gli studi necessari alla commercializzazione del farmaco finito. Lo stesso avverrebbe se un’industria esistente decidesse di cambiare il processo produttivo della propria cannabis. Nel frattempo il farmacista galenico avrebbe campo più libero per migliorare le proprie estrazioni sulla base di nuove conoscenze, ad esempio per preservare al massimo nelle estrazioni i profili cannabinoidi e terpenici delle diverse varietà, oppure ottenendo preparati con principi attivi quasi completamente decarbossilati.
Cosa succederà con gli estratti CBD privi della sostanza controllata THC?
I preparati di CBD con tenore THC prossimo allo zero ricadrebbero sotto la stessa logica stabilita dal recente decreto e quindi non sarebbero registrabili come integratori alimentari. Nella peggiore delle ipotesi il Ministero potrebbe classificare il cannabidiolo come principio attivo e in questo caso risulterebbe acquistabile con ricetta medica in farmacia, o magari senza ricetta in caso di bassi dosaggi. Se invece si scegliesse di classificare il CBD come integratore, la sua produzione e distribuzione risulterebbero più semplici, ma ricadrebbero comunque sotto la specifica normativa per gli integratori alimentari.
A proposito di CBD, il Bedrolite è finalmente disponibile?
Bedrolite a tasso quasi zero di THC e 9% di CBD è disponibile da inizio ottobre 2015. Insieme a un collega ho fatto più volte richiesta al ministero della Salute per autorizzare questa varietà. Notavo che alcune persone, soprattutto bambini e anziani, risultavano molto sensibili agli effetti collaterali del THC e, in un primo periodo, l’unico distributore italiano aveva visto respinta la sua richiesta di importazione perché il Ministero non riconosceva utilità terapeutica al CBD. In agosto si è presentato sul mercato italiano un nuovo distributore che ha inoltrato insieme a noi la richiesta, con tutta la documentazione compilata nelle sue diverse parti. La firma ministeriale è arrivata e oggi il Bedrolite è disponibile in farmacia.
A che punto è la produzione italiana di cannabis terapeutica?
Grazie al lavoro del dottor Gianpaolo Grassi del CREA CIN di Rovigo abbiamo anche in Italia le nostre varietà mediche e le metodiche di coltivazione. Questo però non basta a garantire una produzione sufficiente e prezzi competitivi: primi raccolti dell’Istituto Farmaceutico Militare dovrebbero risultare disponibili dalla metà del 2016 per ASL e ospedali, o per i farmacisti nei casi in cui le Regioni riconoscano la dispensazione gratuita. Si prevedono 120 chilogrammi, contro i 1500 prodotti dalla Bedrocan BV. In Olanda il fabbisogno interno è pari a 400 kg annui e il resto della produzione viene esportato per il mercato estero. Le loro prime coltivazioni di cannabis a uso terapeutico sono cominciate nel 2003 ed è quindi difficile pensare che in un anno l’Italia possa risultare competitiva contro un’esperienza più che decennale.
Ci sono sviluppi sulla conoscenza delle proprietà del fitocomplesso rispetto al singolo cannabinoide?
Dal punto di vista strettamente chimico è molto difficile sapere quali componenti hanno esercitato maggiore azione terapeutica, oltre ai due principali cannabinoidi. Esistono comunque studi che provano la maggiore efficacia del fitocomplesso, e questo vale per tutti gli estratti vegetali confrontati con la singola sostanza purificata. Guardando ai prodotti autorizzati in Italia vediamo che il Bedrobinol, ad esempio, ha una composizione terpenica molto diversa dal Bedrocan e risulta maggiormente euforizzante pur contenendo meno THC rispetto al Bedrocan.
Un altro tema caldo è l’utilizzo di cannabis in pediatria.
Ad un recente convegno sulla cannabis, un medico italiano è intervenuto dicendo che allo stato attuale non esistono studi accreditati sull’efficacia della cannabis in pediatria, mentre altri studi indicano che è meglio non utilizzare cannabis in giovane età.
È anche vero che il sistema endocannabinoide ha molta importanza fino a circa 21 anni e che i fitocannabinoidi possono alterare il suo normale sviluppo. Inoltre, si è visto che i cambiamenti nel cervello indotti dai cannabinoidi sono tanto maggiori quanto prima se ne comincia l’utilizzo. D’altro canto bisogna rilevare che il “bias”, cioè il fattore di alterazione dei risultati delle ricerche, può essere cosi importante da ridimensionare il risultato degli studi: le ricerche sui giovani riguardano cannabis fumata, quindi con tutte le sostanze nocive associate alla combustione e non c’è modo di conoscerne la qualità, i contaminanti chimici e biologici, le altre sostanze assunte in contemporanea. Gli studi in quest’ambito sono spesso meta-analisi delle diverse raccolte di dichiarazioni dei pazienti che hanno utilizzato cannabis proveniente dal mercato nero.
Quindi si continueranno a somministrare gli antiepilettici tradizionali ai bambini?
Un nuovo farmaco cannabinoide a base di cannabidiolo purificato, in test di Fase II (Epidiolex), sarà destinato a una nicchia di piccoli pazienti con rare forme di epilessia che non rispondono ai trattamenti tradizionali. Per questa patologia sono disponibili dati sugli effetti collaterali dei farmaci tradizionali anche dopo 20 anni di utilizzo a partire dall’infanzia. Questi dati mancano completamente per la cannabis e quindi il Ministero non approva i cannabinoidi e preferisce farmaci già ampiamente collaudati. Resta il fatto che un pediatra, in scienza e coscienza, ha facoltà di prescrivere cannabis a pagamento sulla base di letteratura scientifica accreditata, come ad esempio i risultati degli studi di Fase 2 dell’Epidiolex. Grazie alla recente disponibilità del Bedrolite privo di THC comincio a vedere prescrizioni pediatriche in sostituzione o in supporto di antiepilettici.
Quanto è diffusa la cannabis in oncologia nel nostro Paese?
Gli oncologi italiani sono per ora diffidenti nell’utilizzo della cannabis per i motivi che ho spiegato prima: esistono protocolli standard e farmaci collaudati per i dolori o problematiche tumorali, di conseguenza stimo che solo un oncologo su dieci sceglie di utilizzare la cannabis. La mentalità cambia se invece guardiamo i medici di base. In questo caso 7 medici italiani su 10 prescrivono cannabis come supporto ai pazienti con patologie tumorali che ne facciano richiesta.
Stefano Mariani