L’utilizzo medico e terapeutico della pianta di canapa affonda le radici nella storia dell’umanità. La cannabis ha una lunga storia legata alla medicina tradizionale cinese. Annoverata tra le 50 “fondamentali” erbe mediche, veniva prescritta per il trattamento di diversi sintomi ed era utilizzata persino dall’imperatore Shen Nung, appassionato di farmacologia. Nel 2737 a.C. Shen fu il primo ad includere i benefici legati all’uso della marijuana in un trattato di medicina. Nel primo secolo d.C. venne completato il “Pen Ts’ao Ching”, basato sulle pratiche tradizionali di quel periodo e conosciuto come la più antica farmacopea del mondo. Qui la cannabis è raccomandata per più di cento disturbi, tra cui la gotta, la malaria e i reumatismi. Secoli più tardi numerosi testi cinesi la consigliarono invece per il trattamento di emorragie, infezioni, parassiti e nausea. In seguito, Hua Tuo (140-208 d.C.) venne accreditato come la prima persona ad aver usato la cannabis come anestetico. Altro testo antico conosciuto perché contiene una prescrizione di cannabis per un disturbo infiammatorio è il papiro Ebers del 1550 a.C.
Anche in India la pianta conobbe un ampio impiego in ambito terapeutico. Tra il II e il I secolo a.C. le ripetute migrazioni delle tribù nomadi dell’Asia Centrale ne favorirono la diffusione nel bacino del Mediterraneo, in Europa e in Medio Oriente. In Europa nel I secolo d.C., Dioscoride presenta nella sua “Materia Medica” una delle più antiche raffigurazioni della pianta e la raccomanda per mal d’orecchi, edemi, itterizia e altri disturbi. Nello stesso periodo Plinio il Vecchio ne consigliava l’uso per curare emicrania e costipazione, mentre Galeno, più tardi, la cita come rimedio contro le flatulenze, il mal d’orecchi e il dolore in genere.
Nella prima parte del Medio-Evo la pianta continuò ad essere usata a scopo mistico e terapeutico, ma la “civilizzazione” delle culture pagane, né condizionò la progressiva scomparsa dal continente europeo. L’inquisizione del XII secolo, si scagliò contro l’uso della cannabis ma i viaggiatori di ritorno da Africa e Asia reintrodussero in Europa l’uso terapeutico della pianta e nel 1621 l’inglese Robert Burton, in “The Anatomy of Melancholy”, la consigliava per il trattamento della depressione. Dobbiamo aspettare l’inizio dell’Ottocento per vedere la nascita di un vero interesse scientifico con il dottor W. B. O’Shaughnessy che sistematizzò le conoscenze sulle proprietà medicinali di questa pianta. È il 1839 quando descrive usi e benefici della cannabis appresi in India, supportati da una serie di esperimenti in malattie quali rabbia, reumatismi, epilessia, tetano, arrivando a definire la cannabis, come «il perfetto rimedio anticonvulsivo». Fra il 1840 e il 1900 furono pubblicati più di 100 articoli sugli usi medici della cannabis, tra i quali quello del 1890 pubblicato dalla rivista Lancet a firma del dottor J. R. Reynolds che riassume 30 anni di esperienza con la canapa in medicina. In Italia la farmacopea ufficiale includeva sia l’estratto sia la tintura di cannabis (cfr. P.E. Alessandri in: “Droghe e piante medicinali”, 1915).
La storia della cannabis come farmaco si chiuse bruscamente, almeno in America e in Europa, appena prima della seconda guerra mondiale e bisogna aspettare gli anni ’70 per rivedere i primi cenni di una rivalutazione. Il libro del dottor Lester Grinspoon “Marijuana reconsidered” (1971) è il primo testo “moderno” a riesaminare in modo critico e senza pregiudizi la letteratura scientifica antica e recente. Oggi la cannabis in molti Paesi sta avendo sempre più attenzione come trattamento per le patologie più disparate e i moderni metodi di indagine scientifica hanno permesso di convalidare molti degli effetti terapeutici scoperti in passato, trovandone di nuovi. Il futuro della ricerca, che speriamo sia sempre meno legato a scelte politiche, sarà incentrato sul sistema endocannabinoide, considerato un perfetto bersaglio farmacologico, o sui cannabinoidi incapsulati in nanoparticelle per avere il massimo controllo sulla somministrazione dei farmaci.