Il provvedimento di rendere obbligatorio il piano terapeutico per tutti i pazienti che usano la cannabis per le proprie patologie, è stato anticipato senza far troppo rumore durante l'ultima riunione del tavolo tecnico che si è tenuta al ministero della Salute ma, se venisse attuato, impedirebbe l'accesso alle cure a circa il 50/60% dei pazienti attuali. I pazienti in verità, che da anni chiedono poche e semplici cose che potrebbero risolvere gli annosi problemi che li affliggono - come l'aumento della produzione nazionale e la fine dell'obbligo previsto dalla legge che i 5 importatori autorizzati si riforniscano dal ministero della Salute olandese - erano rimasti basati davanti al fatto che, in piena urgenza perché si trova ancora meno cannabis degli anni scorsi che già scarseggiava, per la prima mezz'ora hanno dovuto ascoltare questa proposta della quale, a loro precisa richiesta, non è stato presentata nemmeno una bozza.
La cannabis in farmacia si trova a fatica, con una carenza anche peggiore degli anni precedenti visto che almeno veniva effettuata un'importazione straordinaria di 200 kg di varietà Pedanios, mentre quest'anno arriveranno solo i 100 kg prodotti da Little Green Pharma, per la gara senza bando assegnata a febbraio, e che durerà al massimo per un mese. Se venisse approvato il piano terapeutico obbligatorio sarebbe la catastrofe definitiva. O la "soluzione" del problema, dipende dal punto di vista. Nel senso che con il piano terapeutico obbligatorio, almeno il 50% degli attuali pazienti non avrebbe più accesso alla cannabis e quindi si porrebbe fine al problema della carenza perché, limitando fortemente l'accesso, con un colpo di bacchetta magica sparirebbe anche il problema del fabbisogno di cannabis, da sempre sottostimato dalle istituzioni preposte.
Cannabis e piano terapeutico obbligatorio: accesso limitato per i pazienti e costi più alti
"Sono più di 9 anni che la cannabis è legale in Italia, ci troviamo con gli stessi problemi che avevamo all'inizio e non si è trovato un modo per risolverli", sottolinea il farmacista Marco Ternelli spiegando che: "l'OMS l'ha ormai sdoganata come farmaco, prescritto in Italia e in Europa, dove nazioni che sono partite dopo di noi ormai non solo ci hanno superato, ma producono e distribuiscono 3 o 4 volte la cannabis che viene distribuita da noi. Credo sia evidente che non si tratti di un problema politico, ma di una volontà precisa di non voler sostenere la cannabis terapeutica nel nostro Paese".
Sull'obbligatorietà del piano terapeutico ventilata all'ultimo tavolo tecnico Ternelli sottolinea che: "il punto è che se il ministero vuole mettere il piano terapeutico anche per le ricette a pagamento significa che tutti i pazienti che oggi per avere la cannabis basta che vadano da un medico che emette una prescrizione su carta bianca, quindi ricettario privato, dalla mattina alla sera per poter ottenere la ricetta dovrebbero preventivamente passare da uno specialista, che avrebbe la possibilità di fare il piano a pagamento, e poi il paziente dovrebbe andare dal medico di base a farsi rinnovare la prescrizione della cannabis sulla base del piano terapeutico".
E qui i problemi si moltiplicano perché già ci sono pochi medici che la prescrivono e di specialisti ancora meno. "La premessa è che il piano terapeutico c'è già in quasi tutte le Regioni che la dispensano a carico del SSR, e che la cannabis a pagamento oggi rappresenta circa il 70% delle prescrizioni. Quindi questo 70% dei pazienti dovrebbe innanzitutto trovare uno specialista adatto per la propria patologia, che sono pochissimi e magari lavorano in strutture in cui fanno anche altro. Si intaserebbe tutto".
E dall'altro lato si moltiplicherebbero le spese, dirette e indirette, per i pazienti che già, quando la pagano di tasca propria, affrontano delle spese molto elevate. "Già devono pagarsela loro, in più dovrebbero andare a cercare e trovare lo specialista, pagarlo, e poi tornare per rinnovarlo almeno due volte l'anno, visto che il piano terapeutico dura al massimo 6 mesi".
Insomma, per i pazienti sarebbe una catastrofe, "di contro per il ministero sarebbe una cosa meravigliosa perché se le prescrizioni a pagamento sono il 60/70%, almeno ci troveremmo con il 50% in meno di prescrizioni perché in molti visto l'iter complesso e costoso rinuncerebbero. E quindi sarebbe di colpo ridimensionata di parecchio la carenza di cannabis".
Quindi invece che aumentare la produzione o sbloccare le importazioni la soluzione sarebbe quella di stroncare alla base la domanda rendendo più complicato l'accesso alla cannabis medica in modo che ci siano meno pazienti. "Spero di sbagliarmi, ma io mi sto ancora chiedendo come mai il Ministero abbia ridotto l'autorizzazione del farmaceutico da 500 a 400 kg, posto che sappiamo tutti che, dati del Ministero alla mano, negli ultimi 3 anni siamo sotto a 100 kg di prodotto. Così come è strano che con l'ultima gara senza bando sia stato scelto di importare 100 kg, quando avremmo potuto importarne 1000".
L'altro campanello d'allarme: l'accenno alla modifica della legge Di Bella
Infine puntualizziamo che ad oggi il piano terapeutico per la cannabis, su 19 Regioni che effettuano la prescrizione a carico dell'SSR, è già presente il 17. Quindi, se il provvedimento fosse pensato solo per le prescrizioni a carico dell'SSR, non cambierebbe niente. Quindi, a meno che il Ministero non lo sappia, è evidente che l'idea di fondo sia quello di farlo anche per i pazienti che oggi la comprano grazie alla legge Di Bella, che permette al medico di prescrivere il farmaco che ritiene più adatto per il paziente che lo paga di tasca sua.
L'altro profondo campanello d'allarme, è stato l'accenno, da parte della dottoressa Minghetti sempre al tavolo tecnico, che la legge Di Bella andrebbe modificata perché ormai superata. E con questo si chiuderebbe il cerchio. Oggi infatti se qualunque medico può prescrivere la cannabis (e non solo) per qualunque patologia per la quale ci siano cenni scientifici sulle riviste accreditate, è proprio grazie alla legge Di Bella.
Mario Catania