"La produzione italiana di cannabis terapeutica è utile sia per tutti i potenziali pazienti che potrebbero utilizzarla e quindi per il quantitativo necessario di cannabis da produrre", oltre che "per mettere a frutto le competenze tecniche e scientifiche che sono state accumulate in questi anni".
E' l'opinione di Gianpaolo Grassi, primo ricercatore del CRA-CIN di Rovigo che abbiamo avuto modo di intervistare durante la giornata a porte aperte che si è svolta a Rovigo in settembre. Qui infatti da anni si studiano vari tipi di genetiche di cannabis sia dal punto di vista terapeutico, sia industriale.
Nella video intervista il ricercatore non si è sbilanciato su una possibile collaborazione del CRA-CIN con lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, ma il ministero delle Politiche Agricole ha confermato che: “Il CRA collaborerà con lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze (SCFM), fornendo il supporto logistico tecnico e operativo che si renderà necessario. Il criterio concordato di valutazione del luogo, oltre la professionalità e capacità operativa specifica, è stato quello della sicurezza, che lo SCFM può garantire”.
Sui 60 ettari di terreno coltivati a Rovigo, son coltivate piante provenienti da diverse parti del mondo, dalla Siberia alla Cina, dal Nepal fino al Sudafrica. Una delle ultime genetiche su cui si sta lavorando è la cosiddetta Ermo, e cioè una particolare varietà di cannabis con la caratteristica di non avere cannabinoidi, perfetta per essere usata in studi medici come placebo.
Il ricercatore spiega inoltre come secondo lui non ci sarà spazio per l'autocoltivazione da parte dei pazienti perché per i ricercatori non può esserci nulla di amatoriale nel produrre derivati dalla cannabis, sia per il quadro legislativo che ne regolerà la produzione e i costi per i controlli che l'AIFA dovrà effettuare, sia per la professionalità scientifica e i costosi strumenti necessari. Le regole da rispettare sono molto severe in fatto di controlli e sicurezza: la cannabis viene conservata in frigoriferi o in stanze con chiusura blindata, sotto protezione. Il cuore della produzione per uso farmaceutico è una serra controllata all’interno di un capannone blindato dove lampade a 600 Watt forniscono alle piantine selezionate la luce necessaria a crescere in un ambiente quasi sterile.
"Per la produzione di un vegetale che poi possa essere trasformato in un farmaco - ha spiegato durante la conferenza - bisogna seguire procedure specifiche e ottenere un materiale che sia caratterizzato da assenza di contaminazione. La pianta deve produrre il massimo e il prodotto deve essere uniforme perché delle caratteristiche ricercate dal prodotto farmaceutico è proprio la costanza e la standardizzazione del principio attivo. Questo per dare la massima garanzia al paziente e al medico, sia sull’origine che sull’efficacia del farmaco. In questa serra alleviamo mediamente 150 piante. Ogni pianta produce una quantità di fiori, che è la parte più ricca e di interesse, per circa 30 grammi, per cui diciamo circa 4,5 chili di materiale per ciclo. Con un lavoro intensivo, possiamo arrivare anche a quattro cicli l’anno”.
Inoltre “la canapa medica deve essere fatta esclusivamente con cloni perché garantiscono l'uniformità genetica e non sono ammessi i semi. Le varietà devono essere registrate e depositate presso centri adatti a questo scopo in Italia o in Europa e bisogna porre molta attenzione a tutti i passaggi di lavorazione. L’essiccazione, ad esempio, se viene eseguita male può causare la crescita di muffe. Dunque va fatta a bassa temperatura, con un’apparecchiatura particolare e al buio. Anche la conservazione è fondamentale per la stabilità dei principi attivi. La sterilità all'estero viene essere garantita con i raggi gamma: occorre infatti considerare che queste sostanze potrebbero essere assunte da categorie di malati con un sistema immunitario indebolito”.
Redazione Cannabisterapeutica.info