Un paziente con regolare prescrizione, che fa uso quotidiano di cannabis, può mettersi alla guida senza avere il timore che gli venga ritirata la patente in caso di controlli sulle sostanze stupefacenti?
E’ la domanda che toglie al sonno a centinaia e centinaia di pazienti, costretti a sceglierese proseguire la propria terapia con la cannabis, in molti casi l’unica sostanza che riesce a dar sollievo per la propria patologia, oppure se evitare di assumerla perché per il proprio lavoro e per la propria vita è necessario avere la patente e non rischiare di perderla. Per molti questa problematica si traduce in settimane mesi di lavoro perso a meno che non si scelga di guidare e rischiare, ed in alcuni casi il licenziamento. Per molti tra quelli che hanno provato a farsi visitare dalla propria commissione medica per avere l’idoneità, il procedimento si è trasformato in ore e ore di attesapresso diversi medici, gli inevitabili rimpalli burocratici che significano mesi e mesi passati in attesa di una visita, oltre ai soldi spesi per consulenze ed avvocati in un processo che sembra più un girone infernale che una procedura per un cittadino in difficoltà.
Abbiamo provato a chiarire la situazione sentendo alcuni pazienti ed un medico responsabile di una ASST di Milano.
“Io ho avuto la sospensione della patente per 6 mesi dopo essere stato trovato alla guida, per la prima volta, positivo ai cannabinoidi”, racconta Carlo Monaco, paziente che utilizza cannabis terapeutica e che ha fondato di recente il Canapa Caffè a Roma insieme a Luigi Mantuano e che per lavorare a Roma necessiterebbe quotidianamente di utilizzare la propria autovettura. “Nel frattempo ho fatto le analisi tossicologiche, il test psicoattitudinale e altri esami. Ho dovuto insistere parecchio con la commissione medica e recarmi sul posto con il mio avvocato. Per un anno mi hanno giudicato non idoneo chiedendomi di portare un certificato di idoneità alla guida in cui ci fosse scritto che non assumo cannabis tutti i giorni, ma io la assumo quotidianamente. Mi sono scontrato con molta ignoranza e diffidenzaed ancora oggi non posso guidare. Dopo la decisione della prima commissione medica ho fatto ricorso, che è stato accolto, dandomi un altro appuntamento. Il problema è che mi chiedevano 500 euro per essere preso in esame da una commissione medica che mi avrebbe fatto l’analisi del capello. Sono tornato con gli avvocati che hanno chiarito la situazione facendo loro presente che il ricorso è stato accettato e quindi mi dovrebbe essere prospettata una soluzione. Se avessi pagato i 500 euro che mi chiedevano mi avrebbero fatto le analisi del capello come da protocollo e se fossi risultato positivo ai cannabinoidi, cosa che sarebbe avvenuta di sicuro, non mi avrebbero ridato la patente. Ora sono in attesa di sapere qualcosa dal mio avvocato, anche se la situazione sta diventando insostenibile, intanto l’8 giugno 2017 è iniziato il percorso con la nuova commissione, ad un anno da quando mi è stata tolta la patente. In un mese ho fatto tutti gli esami, in ultimo il test psichiatrico e sono in attesa dei risultati”.
Diversa la situazione per Stefano Balbo, che risiede in provincia di Merano ed è il videpresidente di ACT (associazione cannabis terapeutica), che fa informazione sulla cannabis in medicina e si batte per i diritti dei pazienti. “Io per la mia patologia consumo circa 60 grammi di cannabis al mese con prescrizione ospedaliera. Per la patente dipende dal buon senso della commissioneperché è consigliato non usare cannabis nelle 24 ore (dal decreto Lorenzin), cosa che per diversi pazienti non è possibile. Ti faccio questo esempio: c’era un pilota d’aereo che come 11 milioni di italiani utilizzava psicofarmaci. Un bel giorno l’aereo che guidava si è schiantato causando la morte di 130 persone: lui non beveva e non fumava. Quindi in Italia ci sono più di 11 milioni di persone che assumono psicofarmaci e guidano la macchina. Bisogna usare il buonsenso. Io ogni due anni devo fare il rinnovo della patente e da quando utilizzo cannabis l’ho già fatto 5 volte, sono dieci anni che assumo cannabis quotidianamente e guido la macchina. Sono stato fortunato perché ho trovato sempre persone in gamba che non si nascondono dietro il loro camice bianco, così come io non mi sono mai nascosto”.
Abbiamo scelto appositamente di raccontarvi due casi limite, ma da giornalisti segnaliamo che se i pazienti che non hanno avuto problemi ad ottenere la patente utilizzando cannabis sono davvero pochi, quelli che vagano dal corridoio di una ASST a quello degli esami tossicologici, con qualche passaggio dal proprio avvocato, sono centinaia. Per non parlare di quelli che hanno deciso di fregarsene e di rischiare in proprio, o di chi ha rinunciato alle cure a base di cannabis per evitare il rischio di perdere la patente.
Per chiare gli ultimi dubbi abbiamo chiesto informazioni anche al dottor Antonio Vitello, Direttore SC Medicina Legale dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano.
Ci sono leggi o procedure che regolano il consumo di cannabis e la patente?
Relativamente all’assunzione di cannabis a scopo medico, occorre anzitutto tenere presente le disposizioni generali di cui all’allegato III del Decreto Legislativo 59/2011, laddove (Lettera F, “Sostanze psicotrope, stupefacenti e medicinali”) è disciplinato il caso di “consumo abituale di medicinali” (punto F.2.) Il fatto che l’assunzione di cannabis sia correlata ad una motivazione terapeutica, infatti, vale a distinguere e differenziare tale fattispecie da quella di “uso di sostanze psicotrope o stupefacenti”, di cui al punto F.1. del citato Allegato III. La fonte normativa sopra richiamata stabilisce che “La patente di guida non deve essere né rilasciata né rinnovata al candidato o conducente che abusi o faccia uso abituale di qualsiasi medicinale o associazione di medicinali nel caso in cui la quantità assunta sia tale da avere influenza sull’abilità alla guida. La relativa valutazione della sussistenza dei requisiti di idoneità psicofisica per la guida di veicoli a motore è demandata alla Commissione medica locale”.
Dal testo normativo si evincono, pertanto, due considerazioni:
– che la possibilità di rilasciare o rinnovare la patente di guida presuppone la valutazione specifica di ciascun soggetto, al fine di poter valutare l’effettiva influenza sulle capacità di guida delle terapie in atto;
– che la competenza ad esprimere il giudizio ricade, sempre, sull’organismo collegiale di accertamento dell’idoneità psicofisica, rappresentato dalla Commissione medica locale (di norma istituita su base provinciale presso i servizi medico legali delle aziende sanitarie pubbliche). Si esclude, in tal modo, ogni possibile competenza in capo ai cosiddetti “medici monocratici”, operanti presso Autoscuole, servizi sanitari di base delle aziende sanitarie locali , etc.).
La Commissione medica locale, come avviene per tutti i soggetti che richiedono il rilascio o rinnovo di patente, effettua una valutazione generale che tiene conto, oltre che della tipologia di trattamento terapeutico in corso, della patologia di base, dell’esistenza di altre condizioni patologiche concomitanti o concorrenti, della tipologia di patente richiesta (patente per automobile o patente di categoria superiore) e di ogni altro aspetto che possa incidere sulla sussistenza dei requisiti di idoneità psico-fisica.
E per quello che riguarda l’indicazione contenuta nel decreto Lorenzin di fine 2015 in cui viene consigliato di non mettersi alla guida nelle 24 ore successive all’utilizzo di cannabis?
L’indicazione all’astensione “dalla guida di veicoli o dallo svolgimento di lavori che richiedono allerta mentale e coordinazione fisica per almeno 24 ore dopo l’ultima somministrazione con cannabis per uso medico”, di cui all’ “Allegato tecnico per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis”, annesso al D.M. Salute del 30.11.2015, trova contestualizzazione valutativa alla luce e all’interno del quadro metodologico e normativo generale sopra richiamato: vale a dire, che la Commissione medica locale valuta, per ciascun soggetto, il tempo intercorso dall’inizio della terapia, il fatto che la posologia di assunzione sia stabile nel tempo o sia stata invece soggetta a modificazioni recenti, l’eventuale assunzione contestuale di altre terapie farmacologiche (politerapie), etc.
Analoghe considerazioni vanno riferite anche al recente documento (febbraio 2017) emanato dal Ministero della Salute con le “Raccomandazioni per il medico prescrittore”.
Non vi è, quindi, preclusione aprioristica all’idoneità per i soggetti il cui piano terapeutico preveda l’assunzione quotidiana di preparati a base di cannabis.
C’è una procedura specifica per i pazienti che assumono cannabis?
Non è presente una “procedura” specifica sulla cannabis a finalità terapeutica; ai soggetti assuntori di tali terapie sono applicabili i criteri valutativi generali previsti per l’utilizzo di sostanze ad effetto psicoattivo per finalità terapeutica e sotto controllo medico, approfonditi nei Documenti di appropriatezza di cui sopra.
La Commissione Medica, in generale, valuta le funzioni cognitivo-comportamentali dei soggettirichiedendo una specifica valutazione testistica in tal senso. In particolare a Milano è possibile effettuare la valutazione dei requisiti psicologici per la guida mediante il Vienna Test System Traffic. Infine, per casi particolari, presso la sede della Motorizzazione Civile è presente il Simulatore di guida. Si tratta di una sofisticata strumentazione elettronica che valuta le capacità motorie (relative sia agli arti superiori che inferiori) e visive del soggetto e gli consente di prendere confidenza con le apparecchiature che utilizzerà sulla vettura.
Tramite sensori, il computer testa la capacità di guida della persona e la sua forza nella progressione di accelerazione e di frenata.
Dai pazienti che ho avuto modo di sentire ne ho contattati alcuni che hanno il permesso della commissione medica della città in cui vivono, ed altri a cui la patente è stata ritirata e non viene riconsegnata; secondo lei c’è bisogno di una normativa ad hoc per regolare la questione?
Appare senz’altro utile un approfondimento tecnico-scientifico congiunto della problematica, sotto il profilo clinico e medico legale. Tale approfondimento potrebbe utilmente essere finalizzato ad approntare, a livello nazionale, un “documento di appropriatezza” che possa essere di supporto alle Commissioni indicando dei chiari riferimenti di natura metodologica e di criteriologia valutativa.
Una “normativa ad hoc”, che si limitasse a dare parametri rigidi (ad esempio, in tema di durata dell’idoneità concedibile) non sarebbe in quanto tale di aiuto, ma potrebbe sortire l’effetto paradosso di “ingessare” l’attività delle Commissioni, vincolandole a decisioni non necessariamente in linea con l’evoluzione delle conoscenze clinico-scientifiche e con le peculiarità di ciascun caso.
Come funziona invece per i pazienti che assumono farmaci oppiacei?
Anche per tali tipologie di pazienti si applicano i criteri metodologici e valutativi di cui ai già citati Documenti di appropriatezza diffusi a livello regionale; in generale viene accuratamente valutato l’impatto dei farmaci sulle performances neuropsicologiche dei soggetti (esame dei tempi di reazione, test valutativi neuropsicologici).
Mario Catania
Fonte: dolcevitaonline.it