Oli al CBD ed e-liquid: la situazione in Europa
Dopo le ricerche condotte negli Stati Uniti dai Centers for Disease Control and Prevention (Centri per la prevenzione del controllo delle malattie), dalle quali è emerso che oltre 2.800 persone negli USA hanno subito danni polmonari a causa dell’uso delle sigarette elettroniche o dei prodotti da svapo, anche a livello europeo e-liquid e oli sono finiti sotto i riflettori della comunità scientifica.
Tra gli studi più recenti c’è quello della Fundación CANNA dell’Università di Valencia, che ha analizzato una selezione di e-liquid al CBD sul mercato europeo alla ricerca di sostanze dannose per l’organismo al loro interno. Dallo studio è emerso che su 15 CBD e-liquid testati solo uno contiene vitamina E acetato — tra gli ingredienti più pericolosi trovati negli USA —, ma ben 14 di loro hanno meno CBD di quanto dichiarato sull’etichetta. Nello specifico, in 4 campioni lo scarto era del 10%, ma, in media, il CBD è risultato inferiore del 27% rispetto a quanto indicato; solo uno conteneva valori superiori.
La discrepanza è data anche dal fatto che la normativa italiana ed europea è ancora oggi lacunosa e di difficile interpretazione per quanto riguarda l’impiego del CBD (sia in preparazione farmaceutiche che in preparazioni alimentari o cosmetiche) e questo ha portato sul mercato prodotti poco controllati o di qualità inferiore a quanto indicato. Il tutto a discapito dei consumatori.
Degradazione e conservazione: intervista al dottor Giorgio Nenna
È in questo contesto che, nel 2018, un gruppo di ricercatori italiani ha condotto uno studio scientifico per determinare e approfondire i criteri base di qualità di qualsiasi preparazione oleosa analizzando 14 tra i più comuni oli al CBD presenti nel mercato europeo. Anche in questo caso, le informazioni riportate sull’etichetta sono risultate difformi.
Per una panoramica sull’attuale situazione attuale abbiamo intervistato il dottor Giorgio Nenna, farmacista e ricercatore tra i responsabili dello studio.
Quali sono stati i risultati dello studio del 2018? Avete eseguito nuove ricerche sul tema di recente?
Il dottor Giorgio Nenna
Le attuali normative non garantiscono in maniera completa la sicurezza degli utilizzatori in quanto, nei prodotti in commercio, a parità di concentrazioni dichiarate di CBD, si riscontrano spesso differenze percentuali marcate e discrepanze qualitative tra un prodotto e l’altro. In effetti i prodotti a base di CBD di libera vendita non sono soggetti a test obbligatori per determinare l’esatta composizione, l’area di indicazione, la via di somministrazione, la dose giornaliera massima raccomandata, le modalità di conservazione e stabilità.
Lo studio del 2018 ha dimostrato che nei prodotti esaminati il più delle volte le concentrazioni di CBD non corrispondevano a quanto dichiarato in etichetta e inoltre, fattore di notevole importanza, la concentrazione di CBD indicata era quella data dalla somma di CBDA e CBD. Nelle infiorescenze di Canapa è presente solo la forma acida del Cannabidiolo, l’acido cannabidiolico CBDA, che, durante l’esposizione termica dovuta alle condizioni di estrazione, viene convertito nella sua forma neutra decarbossilata CBD.
Qual è il problema principale legato a questa discrepanza?
Il diverso rapporto di questi due componenti in differenti estratti aventi la stessa percentuale dichiarata di CBD totale risulta abbastanza problematico in quanto gli effetti biologici delle forme neutre e acide sono notevolmente differenti. Questa condizione può portare a effetti terapeutici sbilanciati ed è un aspetto da non sottovalutare, soprattutto se teniamo presente che molti consumatori tendono a sostituire i preparati standardizzati di olio galenico (come l’estratto oleoso di Bedrolite) con gli estratti di olio di canapa ricco di CBD per il fatto che per i primi è necessaria la ricetta medica.
Perché questi prodotti si degradano spesso con estrema facilità? È un fattore dovuto anche alla diversa percentuale di CBD?
I prodotti commercializzati vantano metodi di estrazione che permettono di ottenere estratti “full spectrum”, il che significa che, oltre al CBD, contengono diversi fito-cannabinoidi tra cui THC, CBN, CBG, THCA, CBGA e altri. Il CBNin particolare è di grande importanza per la valutazione dei fenomeni ossidativi conseguenti alla materia prima utilizzata, alla sua conservazione ed essiccazione, al metodo di estrazione utilizzato e allo stoccaggio del prodotto finito. In effetti, mentre il CBD non sembra essere soggetto a degradazione ossidativa, il CBN può essere visto come un indicatore dei processi ossidativi non essendo considerato un cannabinoide naturale ma, piuttosto, un artefatto derivante dall’ossidazione del THC, pertanto la sua determinazione può aiutare nella valutazione della qualità degli oli di CBD. Inoltre, sebbene molto meno psicoattivo del THC, fornisce comunque effetti sedativi e quindi la sua concentrazione dovrebbe essere indicata in etichetta.
Come influisce la composizione dell’olio o dell’e-liquid sulla sua conservazione? Il fatto che sull’etichetta non siano riportate informazioni corrette dal punto di vista degli ingredienti può portare il consumatore a commettere errori in merito alla conservazione del prodotto?
Nei prodotti commercializzati sono utilizzate tre diverse tipologie di veicolo per solubilizzare il CBD: l’olio di trigliceridi a catena media (MCT), olio d’oliva e l’olio di semi di canapa, che risulta essere il più utilizzato. La rilevazione di aldeidi e chetoni permette di valutare il livello di perossidazione lipidica degli acidi grassi polinsaturi e può fornire indicazioni sulla composizione degli oli usati come matrice e sulle condizioni di conservazione. L’olio MCT è meno suscettibile alla degradazione ossidativa rispetto agli altri due, ma ha un costo maggiore. Gli oli di oliva e di semi di canapa sono più ricchi di acidi grassi polinsaturi che sono poi quelli più suscettibili ai fenomeni di ossidazione durante la conservazione.
La perossidazione degli oli riveste un ruolo cruciale in quanto la formazione di prodotti di ossidazione lipidica è correlata con la diminuzione della concentrazione di cannabinoidi e terpeni e per questo motivo andrebbe indicata un’adeguata temperatura di conservazione per definire la corretta data di scadenza.
Perché, secondo lei, c’è tale disparità tra quanto riportato sull’etichetta e il prodotto finale? Si tratta esclusivamente di un fattore economico o è anche legato alla fornitura della materia prima?
La composizione finale degli estratti di olio di canapa ricchi di CBD dipende dalla varietà e qualità della canapa utilizzata, dal tipo di olio solvente impiegato ma, soprattutto, dal metodo di estrazione applicato.
L’estrazione con CO2 supercritica rappresenta il metodo di scelta in quanto la bassa temperatura e l’atmosfera inerte permettono maggiori rese di CBD e concentrazioni ben definite. Lo svantaggio di questa tecnologia è il suo costo elevato e quindi diversi produttori si orientano sull’estrazione con solventi, abbastanza discutibile perché i solventi residui (generalmente esano, toluene, benzene e acetone) possono contaminare il prodotto finale.
In generale, quali accorgimenti servono per conservare correttamente un olio o un e-liquid al CBD?
I fattori da tenere presente per la corretta conservazione di questi estratti sono luce, esposizioneall’aria e temperatura. Mentre gli effetti dell’esposizione alla luce risultano trascurabili, quelli relativi all’esposizione all’aria e alla temperatura sono sicuramente più significativi, e non inaspettatamente, in quanto molte delle trasformazioni sono basate su processi di ossidazione.
Cosa ne pensa dell’attuale situazione italiana? Sia dal punto di vista delle normative che dal punto di vista della produzione di CBD.
L’attuale legislazione sulla coltivazione della canapa è indirizzata maggiormente al suo uso industriale e quindi vi è un vuoto legislativo, anche rispetto ad altri Stati europei, per i suoi impieghi in ambito medico e di integrazione nutraceutica, che potrebbero invece fornire notevoli vantaggi sia ai produttori che agli utilizzatori finali. Queste incertezze normative non permettono investimenti su larga scala e la diffusione di prodotti seri e certificati, lasciando aperti varchi a preparati disponibili sul mercato con etichettatura non chiara e composizione non ben definita.
Martina Sgorlon