Il punto di partenza è che grazie alla legge Di Bella del 1994, la cannabis è prescrivibile per qualsiasi patologia per la quale ci siano studi scientifici pubblicati su riviste accreditate. Ciò significa che sta alla responsabilità del medico, che, in scienza e coscienza - come si usa dire in questi casi - prescrive il farmaco che ritiene migliore e più efficace per i disturbi del proprio paziente. E se guardiamo agli studi scientifici pubblicati sulla cannabis a livello medico, le patologie per cui potrebbe essere utile sono decine, dall'emicrania alla sclerosi multipla, passando per glaucoma, Parkinson, Alzheimer, dolori cronici e neuropatici, anoressia, cachessia, diverse forme di epilessia e molte altre patologie.
In Italia, nel 2007, l’allora ministro della Salute Livia Turcoha riconosciuto con un decreto l’uso in terapia del cannabinoide delta-9-THC e dei suoi omologhi. In realtà qualcuno era già riuscito ad ottenere farmaci a base di cannabinoidi sintetici ed il Bedrocan (un paziente nel 2005 e 3 o 4 nel 2006) anche prima tramite l’importazione dall’estero grazie ad un decreto ministeriale del febbraio del 1997 che autorizzava l’importazione di farmaci che non fossero prodotti nel nostro Paese. Nel 2013, quando ad essere ministro della Salute era Renato Balduzzi, fu esteso il riconoscimento dell’efficacia per scopi terapeutici anche alla pianta di cannabis in forma vegetale e ai suoi estratti e preparati. Accanto alla normativa nazionale, negli ultimi anni sono state introdotte anche delle leggi regionali, alcune delle quali riconoscono l’erogazione dei medicinali cannabinoidi a carico dei servizi sanitari regionali. La legge di bilancio attualmente in discussione al Senato che comprende anche il testo sulla cannabis terapeutica, tra le principali novità prevede che la cannabis possa essere prescritta a carico del servizio sanitario nazionale, superando quindi le differenze create dalle leggi regionali.
In questi giorni ha fatto molto discutere la storia di un ingegnere raccontata da Le Iene che compra cannabis al mercato nero per trasformarla in un estratto in olio e darlo alla mamma affetta da Alzheimer. Quello che forse non è chiaro è che l'ingegnere avrebbe potuto farsela tranquillamente prescrivere.
Il problema, a parte quello di trovare cannabis in farmacia oggi che in tutta Italia il farmaco è introvabile, sarebbe stato quello di trovare un medico che fosse culturalmente preparato a prescriverla e che fosse a conoscenza degli studi scientifici che mostrano diverse potenzialità della cannabis nel trattamento di questa patologia, e anche nel combatterne i fattori scatenanti e rallentarne il decorso. Ancor di più nel caso di una patologia, l'Alzheimer, per la quale non esiste una cura ma solo farmaci ipnotici e sedativi che tengono "tranquillo" il paziente.
Questo succede anche perché alla fine del 2015 il ministero della Salute ha emanato un decreto che in teoria doveva solo decretare la nascita della produzione di cannabis di Firenze, ma in realtà è intervenuto anche su altre questioni, arrivando a stabilire d'ufficio un lista delle patologie che sarebbero più adatte alla prescrizione. Nell'allegato del decreto di fine 2015 viene specificato che secondo il ministero della Salute gli impieghi della cannabis ad uso medico riguardano: l'analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore (sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale) resistente alle terapie convenzionali; l'analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace; l'effetto anticinetosico ed antiemetico nella nausea e vomito, causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV, che non può essere ottenuto con trattamenti tradizionali; l'effetto stimolante dell'appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell'appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell'anoressia nervosa, che non può essere ottenuto con trattamenti standard; l'effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali; la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette che non può essere ottenuta con trattamenti standard.
Quindi non solo la politica si arroga il diritto di decidere per quali patologie sia adatta la cannabis, ma lo fa anche obbligando i pazienti ad effettuare prima le terapie convenzionali. Tradotto: se un paziente soffre di dolore cronico o neuropatico, prima di poter provare la cannabis dovrebbe secondo il ministero seguire una terapia a base ad esempio di oppiacei e, nel caso questi non funzionassero, potrebbe quindi farsi prescrivere la cannabis. Un paradosso tutto italiano.
Dando un rapido sguardo alle patologie per cui la cannabis è ammessa in USA o in Canada, spiccano per l'assenza patologie come Parkinson, Alzheimer, Epilessia, morbo di Chron, SLA ed Epatite c, solo per citarne alcune, ma in letteratura ci sono studi che raccontano i possibili benefici della cannabis anche sul disordine da stress post traumatico, insonnia, distonia, asma, prurito intrattabile, ADHD e varie altre malattie e disturbi.
Mario Catania