Cannabis contro il cancro: serve più ricerca clinica
La cannabis a livello medico viene utilizzata da anni per combattere i sintomi del cancro. Aiuta i pazienti in vari modi, dalla gestione di vomito e nausea all’inappetenza, passando per il dolore che la cannabis mitiga senza dare i pesanti effetti collaterali degli oppiacei.
Sono diversi ormai gli studi scientifici clinici che analizzano la cannabis utilizzata insieme a trattamenti tradizionali come chemio e radioterapia in diversi tipi di cancro (QUI uno studio clinico sul glioblastoma, QUI uno su cancro al pancreas su cavie animali), mostrando i benefici che permettono la riduzioni delle dosi di questi trattamenti, ottenendo risultati migliori di quelli standard per qualità di vita e di sopravvivenza.
Oltre che per trattare i sintomi del cancro e ridurre gli effetti collaterali delle terapie tradizionali, la cannabis è studiata anche per le sue potenzialità nel combattere direttamente diversi tipi di tumore; ci sono ormai un centinaio di studi su cellule e cavie animali che dimostrano come diversi cannabinoidi inneschino vari meccanismi che uccidono le cellule tumorali senza danneggiare quelle sane. Quello che manca sono gli studi clinici che testino e verifichino queste potenzialità sui pazienti.
In pochi sanno però che sono quasi 50 anni che si ha notizia di queste potenzialità. Era il 1974 quando i ricercatori del Medical College of Virginia, che era stato finanziato dal National Institute of Health per trovare le prove che la cannabis causasse il cancro, scoprirono invece che il THC aveva rallentato la crescita di tre tipi di cancro nei topi (al polmone, al seno e nella leucemia indotta da virus), “rallentando la crescita dei tumori e prolungando le loro vite del 36%”. I risultati furono pubblicati l’anno successivo sul Journal of The National Cancer Institute.
Di recente sono stati avviati due studi clinici per analizzare il potenziale della cannabis nel trattamento del glioblastoma, forma severa di cancro al cervello.
Il primo si chiama Aristocrat, sarà condotto dall’Università di Leeds e coordinato da un’unità di ricerca specializzata presso l’Università di Birmingham che coinvolgerà 232 pazienti in 15 ospedali del Regno Unito e che vedrà l’impiego del Sativex insieme al farmaco chemioterapico Temozolomide.
Il secondo è partito in Spagna alla fine del 2023 e per 18 mesi indagherà l’effetto antitumorale sinergico osservato nella fase preclinica della combinazione di Δ9-tetraidrocannabinolo (THC) e cannabidiolo (CBD) con trattamenti antitumorali tradizionali utilizzando temozolomide e radioterapia.