“Quando cominciai a occuparmi della marijuana nel 1967, non dubitavo che si trattasse di una droga molto nociva che, sfortunatamente, veniva usata da un numero sempre maggiore di giovani incoscienti che non ascoltavano o non potevano capire i moniti sulla sua pericolosità. La mia intenzione era di descrivere scientificamente la natura e il grado di questa pericolosità. Nei tre anni successivi, mentre passavo in rassegna la letteratura scientifica, medica e profana, il mio giudizio cominciò a cambiare. Arrivai a capire che anch’io, come molte altre persone in questo paese, ero stato sottoposto a un lavaggio del cervello. Le mie credenze circa la pericolosità della marijuana avevano scarso fondamento empirico. Quando completai quella ricerca mi convinsi che la cannabis fosse considerevolmente meno nociva del tabacco e dell’alcool, le droghe legali di uso più comune”.
Queste sono le parole con cui Lester Grinspoon apre il suo libro, “Marijuana, la medicina proibita”, scritto in collaborazione con James B. Balakar e pubblicato anche in Italia (Editori Riuniti, 2002). Ma chi è Lester Grinspoon, e com’è arrivato a queste conclusioni? Noto psichiatra statunitense, Grinspoon è professore emerito dell’Università di Harvard (Cambridge, Massachussets), il più antico ateneo degli Stati Uniti d’America, nonché uno dei più prestigiosi al mondo. Fu il primo medico negli USA a comprendere l’efficacia del carbonato di litio per la cura della psicosi maniaco-depressiva (disturbo bipolare), ed ha al suo attivo numerose pubblicazioni scientifiche sulle droghe, ed in particolare sull’uso a scopo terapeutico della cannabis. In particolare, il suo libro “Marihuana Reconsidered” è stato recentemente ripubblicato dalla casa editoriale dell’Università di Harvard come un classico. E’ inoltre il fondatore della pubblicazione universitaria “Harvard Mental Health Letter”, di cui è stato editore per quindici anni. Durante una sua intervista a Roma, per un’iniziativa di Forum Droghe- Fuoriluogo, in collaborazione con la regione Lazio, ha risposto a vari interrogativi, tra i quali il perché paragonasse la marijuana alla penicillina: “Quando la penicillina fu scoperta nel 1928, il suo valore terapeutico non era stato ancora riconosciuto, e fu compreso solo nel 1941. Essa aveva tre qualità. La prima era il suo bassissimo livello di tossicità, infatti non ha mai causato un singolo caso di morte per overdose. In secondo luogo, la penicillina era estremamente versatile; così come la marijuana che oggi viene efficacemente indicata per trattare il glaucoma, il morbo di Crohn, la sclerosi multipla, l’emicrania e l’elenco potrebbe continuare a lungo”.
Quando Grinspoon parla di tossicità, sottolinea che nessun caso di morte correlato direttamente al THC è stato mai registrato al mondo mentre, solo in Italia, i morti per patologie direttamente correlate all’alcool sono circa 20.000 ogni anno. Sempre da un estratto dell’intervista al professore emerito di Harvard, alla domanda se l’approvazione della cannabis da parte della “Food and Drug Administration” dovrebbe essere un obiettivo reale per il movimento americano, risponde così: “No, penso che non sia necessario. Che cosa fa la FDA? Essa garantisce al paziente che una sostanza sia efficace e sicura. Ma migliaia di anni di uso della marijuana hanno dimostrato, in particolare negli ultimi duecento anni, che è un farmaco efficace ed è infinitamente meno tossico, ad esempio, dell’aspirina.” Grinspoon non ha mai negato gli effetti negativi che il consumo di cannabis può avere sull’organismo, ma li ha semplicemente definiti, alla luce dei suoi studi, come meno invasivi e pericolosi rispetto a quelli provocati dalla maggior parte dei farmaci attualmente in commercio.
Nonostante le prove empiriche portate alla luce dai suoi studi specifici sulla pericolosità della marijuana, Grinspoon ha ricevuto numerose critiche, basate principalmente su tesi poco “scientifiche” e molto “politiche”. Eppure, nonostante sia uno dei maggiori pionieri sugli studi a scopo terapeutico della marijuana, non è stato la vittima più illustre del proibizionismo: il New Scientist Magazine britannico riportò già qualche anno fa la notizia che la WHO (World Health Organization), con sede a Ginevra (Svizzera) dovette reprimere, sotto ingenti pressioni politiche, uno studio che dimostrava quanto la marijuana fosse meno nociva sia dell’alcool che del tabacco. Tra informazione e disinformazione, tra scienza e superstizione, tra medicina tradizionale e rimedi alternativi, Grinspoon propone una visione della cannabis rivoluzionaria, supportata da prove scientifiche e testimonianze dirette.
Quando l’informazione è filtrata, mediata, minuziosamente sezionata e quindi ricomposta dalle mani di politica e multinazionali cambia radicalmente, così come nel più classico esempio del “telefono senza fili”, dove ognuno ci mette del proprio, alterando il messaggio originale a seconda di come vuole trasformarlo per far arrivare l’acqua al proprio mulino. Perché qualsiasi menzogna è più credibile, è risaputo, se insieme a questa si dice anche un po’ di verità. L’unico modo per destreggiarsi in questa matassa ben miscelata di verità e bugie è prendere in mano la situazione in prima persona e portare il messaggio senza intermediari, non solo a parole ma con il chiaro ed inequivocabile supporto dei fatti.
E’ forse questo il più grande merito di Lester Grinspoon, quello di non limitarsi a raccontare la propria verità, ma di analizzarla su basi empiriche perché possa essere compresa da tutti. Affinché ogni persona possa, con prove finalmente chiare e nitide alla mano, venute da anni di studi seri e non politicamente pilotati in materia, arrivare a farsi un’opinione quanto più chiara e precisa su uno degli argomenti più discussi e controversi non solo della nostra storia recente, ma di tutta la storia della medicina.
Autore: Andrea Rossetti
Pubblicato su Dolce Vita n°46 - maggio/giugno 2013