"La possibilità che il cannabidiolo (CBD) sia usato come antivirale o per il trattamento di malattie virali ha ricevuto finora un'attenzione limitata, nonostante il crescente numero di affermazioni secondo cui il CBD potrebbe essere usato per il trattamento di malattie virali". Questo è il punto di partenza messo nero su bianco su Cannabis & Cannabinoid Research, rivista scientifica fondata dal ricercatore Daniele Piomelli, che, per analizzare le potenzialità antinfiammatorie della cannabis e nel trattamento dei virus usa uno studio italiano di cui ci eravamo occupati tempo fa.
“Il CBD è in grado di esercitare un efficace effetto antinfiammatorio e le applicazioni possono essere molteplici e riguardano gli stati infiammatori, in particolare quelli cronici che sono alla base di danni agli organi di vario genere e possono andare dall’aterosclerosi alle malattie autoimmuni e a tutte quelle forme di cronicità che possono portare danni permanenti ai tessuti”. Ci aveva raccontato Marco Cosentino, professore di Farmacologia presso la Scuola di Medicina dell’Università Insubria di Varese, che ha guidato lo studio sulle proprietà antinfiammatorie del CBD realizzato insieme alla professoressa Franca Marino, ad Alex Mabou Tagne, post doc presso la stessa università e altri ricercatori.
E così, alla luce del nuovo dibattito su cannabis e virus, abbiamo contattato nuovamente i professori Cosentino e Marino, per capire meglio le potenzialità del CBD, anche nel trattamento del virus Covid-19.
Nell'ultimo numero di Cannabis & Cannabinoid Research, a partire dal vostro studio di gennaio, viene posta la domanda se il CBD per il trattamento dei virus sia una speranza per il futuro, voi che ne pensate?
Il CBD è un principio attivo dalle molteplici proprietà, in gran parte non ancora studiate. La sua capacità di modulare la risposta immunitaria in senso antinfiammatorio tuttavia apparentemente senza ridurre l'immunocompetenza lo rende un candidato ideale per il trattamento di molte condizioni infettive caratterizzate da quadri infiammatori intensi, incluse le malattie virali. In particolare per queste ultime è tuttavia indispensabile una migliore e più precisa caratterizzazione di CBD, dal momento che a oggi le informazioni disponibili sono ancora estremamente limitate.
Secondo il dottor Carlo Privitera, come è già stato dimostrato nel trattamento di polmoniti dovute ad altri agenti virali che danno quadri patologici simili, la cannabis potrebbe migliorare i risultati clinici e la risposta infiammatoria di chi è affetto da coronavirus. Lei, in quanto farmacologo, che ne pensa? Potrebbe essere il caso di procedere con una sperimentazione?
In linea teorica è possibile, considerando i molteplici effetti antiinfiammatori di CBD. Prima di procedere con una sperimentazione clinica vera e propria converrebbe tuttavia disporre quanto meno di studi di base sugli eventuali effetti di CBD sull'infettività di SARS-CoV-2, in vitro e eventualmente in modelli animali.
Oltre ad effetti antinfiammatori, diversi componenti della cannabis hanno dimostrato di avere proprietà antibiotiche. E' un'altra caratteristiche che potrebbe tornare utile, sia per il coronavirus, che per il problema, definito dall'OMS come una delle maggiori minacce alla salute e allo sviluppo umano, della resistenza agli antibiotici?
Le potenzialità antibiotiche dei cannabinoidi sono notevoli e meritano di essere approfondite e trasferite quanto prima nella pratica clinica. Non va tuttavia dimenticato che i maggiori fattori alla base della drammatica diffusione della resistenza agli antibiotici sono soprattutto rappresentati dall'uso inappropriato in clinica e ancor più dall'impiego smodato nell'allevamento industriale di pollame e bestiame. Se da un lato dunque è senza dubbio importante scoprire nuove sostanze con attività antimicrobica, dall'altro è urgente modificare radicalmente le metodologie di allevamento a scopo alimentare, da tempo insostenibili per l'ambiente e per la salute umana, animale e di tutto l'ecosistema.
Le vostre ricerche sulle proprietà antinfiammatorie della cannabis stanno procedendo? Se sì, con quali risultati?
Gli effetti dei cannabinoidi sul sistema immunitario offrono molteplici opportunità di sviluppo di farmacoterapie innovative per diverse importanti malattie. Il nostro centro di ricerca sta attualmente lavorando su molteplici temi, tra cui il rilievo dell'azione immunomodulante di CBD per malattie autoimmuni del sistema nervoso come la sclerosi multipla e la caratterizzazione dei meccanismi implicati nell'azione antiinfiammatoria e analgesica di CBD.
Cosa possiamo aspettarci dalla ricerca del futuro in questo ambito?
I cannabinoidi hanno enormi potenzialità terapeutiche e negli ultimi anni l'interesse di medici e ricercatori si è rapidamente accresciuto in tutto il mondo. La questione critica oggi è più politica che medico-scientifica: sta infatti ai governanti e ai regolatori cogliere l'opportunità intervenendo con lo sviluppo di quadri normativi che consentano la ricerca di base e soprattutto una più semplice e immediata traslazione alla clinica delle evidenze già ora disponibili.
Mario Catania