Basandomi sull’esperienza clinica maturata fino ad ora, posso dire che la cannabis medica si dimostra un farmaco molto maneggevole e non si è mai verificato (sempre nella mia esperienza) un reale caso di dipendenza. Purtroppo spesso capita che per problemi di reperibilità della materia prima in alcuni periodi dell’anno, i pazienti in trattamento rimangano scoperti, anche da un giorno all’altro. Certamente si possono ridurre o perdere gli effetti terapeutici, ma non è mai stata riferita una reale crisi d’astinenza.
Questo dipende anche dal fatto che lo scopo del trattamento a base di cannabis medica è quello di ridurre al minimo gli effetti psicotropi del THC, cercando un dosaggio individuale che permetta di soddisfare il target terapeutico senza influire sulla lucidità o la capacità di concentrarsi dei pazienti.
E’ comunque meglio evitare l’utilizzo di preparati contenenti THC nei minori, a meno che non sia strettamente necessario, perché essendo ancora in fase di sviluppo è bene non rischiare che il THC possa influire negativamente sullo sviluppo cognitivo.
Per contro negli adulti la cannabis è spesso utilizzata come supporto per scalare altri farmaci con azione sul sistema nervoso centrale, come: sedativi, antidepressivi, oppioidi. Queste categorie di farmaci possono dare assuefazione e, specie se presi ad alte dosi o per lungo tempo, necessitano di molto tempo per essere ridotti. Agendo sul tono dell’umore, sul sonno e sul dolore, i cannabinoidi aiutano ad affrontare in maniera meno traumatica la riduzione dei suddetti farmaci permettendo di poter avere lo stesso effetto terapeutico a dosi inferiori o talvolta anche la completa sospensione.
Questo non significa che alte dosi di THC sul lungo termine non possano dare disturbi della memoria a breve termine o assuefazione, ma sicuramente in un contesto terapeutico monitorato nel tempo il rischio è molto ridotto.
Dottoressa Valentina Florean – Referente per il monitoraggio clinico di Clinn