L’intervista alla dottoressa Daniela Parolaro, professore ordinario di Farmacologia Cellulare e Molecolare all’Università dell’Insubria di Varese e da poco eletta presidente della IACM (International Associatione for Cannabinoid Medicine), è iniziata con una premessa. “Studio la cannabis in farmacologia da più di vent’anni. Conosco le numerose proprietà terapeutiche dei principi attivi di questa pianta, che vanno dalla capacità dei cannabinoidi di inibire la proliferazione delle cellule tumorali nel glioma (qui un recente studio a riguardo al quale ha partecipato la dottoressa, ndr), al suo generale potenziale anticancro (qui un altro studio pubblicato sul British Journal of Clinical Pharmacology, ndr), passando per il trattamento di psicosi per arrivare al dolore neuropatico. Ma non voglio con questo far passare un messaggio antiproibizionistico in generale”. Precisazione doverosa, se si pensa alla rigorosità dei protocolli in fatto di farmacologia, la disciplina della dottoressa, dove ci si concentra solamente sui rigorosi risultati scientifici ottenuti in laboratorio.
Come mai in Italia è difficile accedere alla cannabis come farmaco?
Non voglio entrare in questioni politiche, vorrei attenermi a ciò che sta accadendo in campo scientifico e farmacologico. Credo che in generale tramite il Sativex sia stato fatto un passo avanti. E’ un farmaco prodotto dalla GW Pharmaceuticals, dalla quale sono stata in passato sponsorizzata per uno studio sui cannabinoidi, con THC e CBD presenti in rapporto 1:1. Attualmente si sta avviando uno studio clinico preliminare anche nel trattamento dei tumori e in Italia è prescrivibile per la spasticità nella sclerosi multipla.
E c’è anche un altro farmaco, attualmente in caso di studio, prodotto dall’azienda, a base di CBD?
Sì è esatto. In generale gli studi pre-clinici su un farmaco al 100% composto da CBD sono molto incoraggianti nel trattamento dell’epilessia, portando sia ad una diminuzione del numero di crisi epilettiche, sia all’aumento del lasso di tempo tra una crisi e l’altra.
Da noi come si procede per l’approvazione di un farmaco?
In generale, dopo i test in vitro e la fase pre-clinica, in Italia si deve passare per 3 fasi di test clinici. E’ di sicuro una procedura lunga, ma non molto di più di quella della FDA (Food and Drug Administration) americana e che soprattutto ci mette al riparo da eventuali errori, dando il tempo e gli step necessari per verificare.
In generale come si sta sviluppando la ricerca sui farmaci a base di cannabis?
Si stanno facendo molti passi avanti per ciò che riguarda la somministrazione di composti esogeni (pillole, spray e quant’altro introduciamo nel nostro corpo, ndr) che attivano o inibiscono i recettori dei cannabinoidi per i quali idealmente le vie ideali di assunzione sono quella orale o sublinguale e nasale. Ma non dobbiamo dimenticare che nel nostro corpo è presente un sistema endocannabinoide che sta diventando un perfetto bersaglio farmacologico perché già abbiano farmaci che sono in grado di modularlo quando il suo malfunzionamento è alla base di stati patologici. Il vantaggio di questo approccio è che modulando un tono endogeno non si incorre negli eccessi che possono provocare un effetto psicotico.
E riguardo al CBD?
Di recente il dottor Leweke ha dimostrato nell’uomo che il CBD può essere utilizzato con successo come anti-psicotico, dando meno effetti collaterali della sulpiride che è uno dei farmaci comunemente utilizzati. Ma è stata dimostrata la sua efficacia anche come anti-depressivo, e, a livello sperimentale, nell’inibire la proliferazione delle cellule del cancro alla tiroide, al seno, al colon e al retto, ricordando che non è psico-attivo. In generale c’è ancora molto da imparare se si pensa che si continuano a scoprire nuovi fitocannabinnoidi. Un’altra frontiera è la sinergia tra cannabinoidi e trattamenti chemioterapici classici, che potrebbe tra l’altro ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia.
Cosa ci dice riguardo alla sua recente nomina come direttore dello IACM?
Sono rimasta sorpresa, non me lo aspettavo assolutamente. Ma sono contenta anche per lo speciale rapporto che quest’associazione ha con i pazienti. C’è un contatto diretto e un confronto che parte della sessioni base di ricerca durante le quali i pazienti espongono i loro problemi. Il prossimo appuntamento sarà con l’ICRS (International Cannabinoid Research Society) a Baveno, sul lago maggiore, il prossimo giugno.
Ci sono effetti collaterali nell’utilizzo della cannabis in medicina?
Io considero la cannabis come fonte di nuovi farmaci, a patto che si segua la strada della farmacologia. In generale l’abuso di cannabis ad alto contenuto di THC in età precoce (12/14 anni), può predisporre a patologie psichiatriche in età adulta. Questo non significa che non si possano avere terapie con farmaci a base di THC, dipende sempre dal dosaggio. In generale ci sono altri farmaci con effetti collaterali più pesanti che vengono prescritti e ci sono casi limite di pazienti in cui non è certo il THC a fare male. Spesso basterebbe usare il buon senso, criterio che a volte ci si dimentica di considerare.