Ci sono migliaia di persone nel nostro paese, che, mentre tu stai leggendo questo articolo, soffrono con silenziosa e implacabile costanza di dolori che in alcuni casi non permettono loro di svolgere nemmeno le più normali attività quotidiane. Dolori dei quali in pochi casi i medici riescono a capire la causa, arrivando ad una diagnosi che permetta al paziente di sentirsi finalmente bene, o perlomeno in modo da rendere il dolore almeno sopportabile. Dolori per i quali la gran parte dei farmaci non funzionano e che in molti casi possono essere leniti dalla cannabis. Sono molti gli studi scientifici a supporto di questa tesi e sembra che anche in Italia le cose stiamo iniziando a muoversi. Come è successo a Pavia, dove Giuseppe Mentegari e Simona Capra, infermiere e medico specialista nella terapia del dolore, la prescrivono, o come sta succedendo il Liguria, dove la "Rete regionale terapia del dolore” sta elaborando le linee guida per affrontare il tema della terapia con cannabis in modo uniforme in tutta la Regione. Ne abbiamo parlato con il dottor Marco Bertolotto (nella foto sotto), direttore del Centro Terapia del dolore e cure palliative dell'ospedale Santa Corona di Albenga e Pietra Ligure.
Cosa sta accadendo in Liguria riguardo alla cannabis terapeutica?
La “Rete regionale terapia del dolore” sta elaborando le linee guida per affrontare il tema della terapia con cannabis in modo uniforme in tutta la Liguria. Sia per quanto concerne le indicazioni terapeutiche, sia per quanto riguarda la gratuità del trattamento. Queste linee guida che derivano da esperienze internazionali, pubblicate su riviste scientifiche qualificate, sono riferite al solo utilizzo della cannabis nella terapia del dolore e delle Cure Palliative. La rete ligure è formata da specialisti della materia, che operano negli ospedali della Liguria, da Ventimiglia a La Spezia.
Quando ha iniziato a prescrivere la cannabis e per quale motivo?
Ho iniziato nel 2010, quando ancora non c’era la legge regionale che autorizza la prescrizione della Cannabis. Allora lo facevo seguendo la complessa procedura di richiesta di autorizzazione del Ministero della Salute a trattare il paziente con derivati della cannabis. Una volta ottenuta l’autorizzazione, la farmacia ospedaliera la comprava presso farmacie svizzere. Quando poi il farmaco a base di cannabis arrivava in farmacia, dovevano essere i carabinieri a verificarne l’arrivo, e a sdoganarne la consegna al mio centro affinché io la potessi consegnare al paziente. Devo dire che nonostante il percorso fosse ad ostacoli, ho sempre trovato molta disponibilità da parte della farmacia e dei vertici dell’ASL, sensibili al problema dei pazienti sofferenti.
Per quali patologie l'ha prescritta e per quali pensa possa essere utile in medicina?
Presso il nostro Centro, prescriviamo la cannabis per il trattamento del dolore, dei disturbi tipici dei malati in fase terminale, e delle spasticità muscolari dolorose tipiche di alcune sindromi neurologiche e delle lesioni midollari.
Ad oggi da quando iniziato a quanti pazienti (più o meno) pensa di averla prescritta?
Ad oggi abbiamo trattato una cinquantina di pazienti, alcuni con risultati ottimi, altri senza alcun effetto sul dolore. Talvolta la comparsa di effetti collaterali sulla sfera psichica, costringe il paziente a sospendere la terapia. Noi ricordiamo sempre ai pazienti che se assumo cannabis o derivati hanno l’obbligo di non guidare autoveicoli, e questo spesso ne frena gli entusiasmi.
Perché secondo lei molti medici italiani, pur riconoscendone l'utilità ad esempio nella terapia del dolore, sono poi restii a prescriverla?
Penso sia una questione di pregiudizio. Purtroppo in Italia, come avviene anche su altri temi, prevalgono aspetti ideologici che nulla hanno a che fare con l’essenza del tema. Nel campo della terapia del dolore, abbiamo pochi farmaci veramente utili, e questi spesso hanno efficacia differente da paziente a paziente. Io penso che gli specialisti del dolore non possano permettersi di escludere a priori alcun trattamento. Oggi parliamo di Cannabis, ma vorrei ricordare che ancora molti medici sono restii a prescrivere morfina e derivati. Il paziente sofferente è un soggetto complesso, dove l’aspetto del dolore fisico è solo una parte della sofferenza, e questo influenza molto l’efficacia del trattamento. Il medico deve dedicare molto tempo all’ascolto del paziente, prima di formulare una proposta terapeutica utile: quest’ultima deve sempre essere discussa e talvolta negoziata col paziente.
Cosa cambierà secondo lei per i pazienti con l'avvio della produzione italiana di cannabis terapeutica?
Penso che cambierà poco in termini di prescrizione. Il vantaggio sarà che la pagheremo molto meno e le Direzioni delle ASL non saranno più ostili ad assumersi un onere finanziario che diventerà irrilevante.
Che messaggio vuole lasciare a pazienti e colleghi?
Ai pazienti dico che la Cannabis non è la panacea di tutti i mali. Che in alcuni casi può funzionare, e che in altri purtroppo non è un’arma adeguata.
Ai colleghi dico che noi medici dobbiamo sempre essere disponibili a lenire il dolore di ogni nostro paziente, e che la nostra professione ci richiede spesso di gettare il cuore oltre l’ostacolo nell’interesse dei nostri malati: dico loro di fare ciò in scienza e coscienza, senza farsi condizionare da pregiudizi che poco hanno a che fare con la nostra professione.