Felice Spaccavento è anestesista-rianimatore a capo dell’Unità di cure palliative dell’ASL di Bari ed è noto nel settore per la prescrizione di cure a base di cannabis. Ci troviamo al PTA (Presidio Territorio Assistenziale) di Bitonto, presso l'ambulatorio di terapia del dolore e cure palliative dove il dottor Spaccavento ha visto un aumento esponenziale dei pazienti che utilizzano cannabis e oggi la prescrive, gratuitamente, a oltre 200 pazienti al mese.
Lo scorso 13 luglio, un post pubblicato sulla sua pagina Facebook, nel quale il medico raccontava la storia di Jacopo, bambino di 8 anni affetto da crisi epilettiche che non rispondono ai farmaci tradizionali, ma che ha visto migliorare le proprie condizioni di salute grazie alla cannabis, è diventato virale riaccendendo il dibattito.
Intervista a Felice Spaccavento: il medico che prescrive gratuitamente le terapie a base di cannabis
Per saperne di più sull’attuale situazione italiana, sulla diffusione delle terapie a base di cannabis e per una panoramica generale lo abbiamo intervistato.
Ci può raccontare più nello specifico la storia di Jacopo? Che tipo di miglioramenti ha notato dopo l’inizio delle terapie a base di cannabis?
Jacopo è un bambino con una malattia rara, con frequenti crisi tonico-cloniche[1], quindi epilettiche, e alcune manifestazioni di spasticità. Durante la terapia neurologica, dopo aver utilizzato tutti i farmaci della medicina tradizionale, i medici non hanno notato miglioramenti né in termini di spasticità né in termini di crisi epilettiche. Ora, invece, Jacopo sta seguendo una terapia a base di cannabis ricca di CBDe senza THC (componente che può causare effetti psicotropi) che si chiama Bedrolite e stiamo assistendo a un miglioramento della sua condizione generale: sono migliorati sia la capacità di attenzione del bambino sia il suo rapporto con gli altri, ossia la sua socialità, ma, soprattutto, abbiamo registrato un miglioramento in termini di spasticità e si sono ridotte in maniera considerevole le crisi epilettiche. È chiaro che si tratta di un caso particolare, anche perché il bambino prima di arrivare a questa terapia era stato visto da numerosi specialisti in tutta Italia, ma, attualmente, dopo alcuni mesi di trattamento con i cannabinoidi, possiamo dire di avere un riscontro decisamente positivo.
Lei quando ha iniziato a prescrivere cannabinoidi?
Io ho iniziato a interessarmi di cannabinoidi in maniera costante su spinta di una paziente oncologica che usava valutare tante terapie differenti per guarire dalla sua malattia. Si trattava di una paziente giovane, che ricordo molto bene, e che, purtroppo, non ce l’ha fatta, anche se ha vissuto molto più a lungo rispetto a quanto previsto inizialmente sulla base della sua prognosi. Questo è accaduto almeno sei anni fa. Nel frattempo ho avuto le mie esperienze, mi sono confrontato con farmacisti e medici esperti e, quindi, ho iniziato a fare un percorso di studi specifico per cercare di apprendere quanto più possibile su questa tecnica farmacologica. Si tratta di terapie che tutti i medici possono prescrivere, ma, come per tutte le pratiche della farmacologia e della medicina, bisogna avere la capacità e il training giusto per farlo, non ci si può improvvisare e non si può iniziare dall’oggi al domani a prescrivere cannabinoidi. La medicina è studio, conoscenza e coscienza da applicare e lo è soprattutto in queste terapie, per le quali bisogna stare molto attenti alle richieste dei pazienti, distinguendo quelli che vengono a chiedere la prescrizione per una reale necessità o per altro uso.
Come si è svolto il suo percorso formativo? Su cosa si è basato?
Io ho seguito un corso di formazione con il Dottor Marco Bertolotto, poi mi sono confrontato più volte con colleghi più esperti e anche con farmacisti, soprattutto per quanto riguarda le preparazioni, e a questo ho aggiunto l’approfondimento di tutta la letteratura medica internazionale a disposizione e dedicata alle patologie trattate con i cannabinoidi.
Secondo lei, rispetto a sei anni fa, è cambiata la situazione e la percezione a livello nazionale? È cambiata l’apertura nei confronti di queste terapie?
In Puglia, quando ho iniziato, erano pochi i medici che usavano i cannabinoidi ed eseguivano o valutavano la loro prescrizione. Oggi, quello che sto notando, è che molti medici di base o altri specialisti mi inviano pazienti quando questi diventano resistenti alle terapie tradizionali, o vivono effetti collaterali. Come dico sempre, la cannabis non è la panacea di tutti i mali, bisogna fare una selezione, ma è importante sottolineare anche che, attualmente, molti medici, soprattutto quando si vedono con le spalle al muro e quando non riescono a risolvere una patologia con i farmaci tradizionali, mi inviano il paziente per una valutazione, per capire la possibilità o meno di iniziare una terapia a base di cannabis; poi non è detto che questo paziente risponda alla cannabis, ci sono grandi successi, certo, ma anche degli insuccessi, perché a volte la terapia non ha effetto. Quello che vedo, però, è che molte patologie, soprattutto quelle dolorose, che non rispondono ai comuni farmaci per il dolore, rispondono invece sempre più o meno positivamente alla terapia con i cannabinoidi, quindi questa terapia deve essere utilizzata come un’altra arma, un’alternativa, per le cure.
Quali sono le principali condizioni per le quali viene prescritta una terapia a base di cannabis?
Io vedo prevalentemente pazienti che hanno malattie neurologiche con spasticità, quindi sclerosi multipla, SLA o alcune tetraparesi, ma anche pazienti oncologici e pazienti con dolori cronici, prevalentemente neuropatici, che non rispondono ai normali farmaci per il dolore. Ultimamente, però, sto vedendo anche dei pazienti affetti da Sindrome di Tourette che utilizzando farmaci comuni non rispondono alla risoluzione della patologia e, anche in questo, ci sono casi che rispondono invece molto bene all’utilizzo dei cannabinoidi.
Quando parla di “terapie a base di cannabinoidi” a cosa fa riferimento nello specifico? Come vengono somministrate le cure?
In Italia abbiamo tante tipologie di cannabinoidi, c’è per esempio la cannabis FM2, la “cannabis italiana” che ha una quantità di THC che va dal 6% all’8%, con una quota più elevata di CBD (8-12%) quindi; ma anche il Bedrocan, che è la variante olandese, con una percentuale di THC che va dal 19% al 22%, o la Bedrolite che ha un'alta percentuale di CBD senza alcuna percentuale clinicamente rilevante di THC o l’Aurora canadese, che ha una composizione molto simile. La tipologia di somministrazione del cannabinoide dipende molto dallo specialista e dal caso: si può prescrivere per via orale sottoforma di olio, resine o compresse — anche se il Sistema Sanitario in Puglia riconosce solo la prescrizione in olio, per esempio —, o per via inalatoria attraverso la vaporizzazione. In altre nazioni, però, ci sono altre alternative, come creme e unguenti prescritti per terapie dermatologiche e quindi per utilizzo topico.
In Puglia la legge regionale prevede la gratuità della dispensazione di cannabis per diverse patologie, mentre in altre regioni ciò non avviene. Qual è la panoramica in Italia? I suoi pazienti arrivano anche da fuori regione?
La Puglia è stata una delle prime regioni ad avere una legge regionale specifica, ma è relativa solo ad alcune classi di patologie: pazienti oncologici, persone che soffrono di dolori neuropatici o associati a spasticità, pazienti con Sindrome di Tourette, con alcune forme di glaucoma, ma anche con anoressia legata alla sindrome da immunodeficienza acquisita dell’HIV (AIDS) o anoressia secondaria associata a malattie oncologiche. In Italia, oltre alla Puglia, ci sono anche altre realtà che hanno sviluppato un programma simile, come per esempio Emilia-Romagna e Toscana, ma ci sono, al contrario, altre regioni, soprattutto al Sud, dove le leggi regionali non ci sono ed è per questo che, sì, ho anche pazienti che vengono da fuori regione, soprattutto da Calabria, Basilicata e Molise, ma anche dalla Sicilia.
Chi si rivolge a lei poi deve comunque ottenere i farmaci dalle ASL di riferimento?
Sì, sono le ASL di riferimento a erogare la cannabis sulla base della prescrizione del medico specialista dopo la valutazione del piano terapeutico. Quello che cambia è l’aspetto economico. In Molise, per esempio, dove non c’è la legge regionale, il paziente deve pagare l’erogazione, in Puglia no.
Quindi la panoramica italiana è attualmente molto frammentata. Quali sono le sue previsioni per il futuro? Esatto, però penso che tra poco tutte le regioni si metteranno a regime. Non ci devono essere pazienti di serie A e di serie B, tutti devono avere le stesse possibilità. Chiaro che essendo una nuova terapia — anche se ormai “nuova” non si può più realmente dire, perché ormai i cannabinoidi si utilizzano da anni — c’è bisogno di una sorta di assestamento, però è altrettanto chiaro che il paziente molisano deve avere la stessa possibilità e le stesse agevolazioni di quello pugliese, solo per fare un esempio. La Puglia in questo senso è stata molto lungimirante: il governo Vendola e poi quello Emiliano, che ha approvato la legge, hanno fatto un grande lavoro. La legge, oltretutto, è stata approvata in consiglio regionale all’unanimità.
Quali sono, secondo lei, i limiti principali? Perché esiste questa frammentazione?
Io penso che, come tutte queste particolari terapie, ci sia un po’ di paura; è avvenuto lo stesso con le cure a base di morfina trent’anni fa. A parte questo, penso siamo figli di uno specifico retaggio culturale: ci sono ancora istituzioni che pensano che la terapia con i cannabinoidi sia una terapia per uso ricreativo, ma non è così, c’è una differenza notevole, soprattutto se si pensa che la terapia con cannabinoidi viene prescritta da un medico competente, viene fatta e lavorata da un farmacista competente e viene data a un paziente con delle indicazioni precise e non per uso ludico. È fondamentale spiegare, fare informazione e far capire che si tratta di una terapia come tutte le altre e come tale necessita di studio, di lavoro, pubblicazioni, confronti. È fondamentale, ora, standardizzare e rendere l’utilizzo dei cannabinoidi una terapia tradizionale e non eccezionale.
Dunque, a livello nazionale, siamo di fronte a un pregiudizio che deve essere sfatato. Da cosa si dovrebbe partire per raggiungere questo scopo?
Sicuramente c’è un pregiudizio che però può e deve essere sfatato dallo studio, ma anche dalle esperienze dei pazienti che hanno ottenuto buoni risultati con le terapie a base di cannabis. Quando io vedo un tetraplegico con gravi spasticità che migliora, quando vedo un paziente con sclerosi multipla che dal rimanere sempre seduto inizia a camminare, non a guarire, attenzione, ma a stare meglio, capisco che sono queste le storie da condividere per fare informazione. La medicina non è sempre guarigione, ma deve essere sempre cura, e questa cura deve essere fatta anche per quelle malattie o condizioni per le quali non ci sono speranze. Se un mio paziente con la SLA ha dolori importanti che non riesce a risolvere con una comune terapia, io non vedo perché non dovrebbe utilizzare i cannabinoidi se questi lo fanno stare meglio.
Obiettivo è assicurare una migliore qualità della vita alle persone che soffrono.
Esattamente. Migliorare la qualità di vita e migliorare i sintomi dove la cura tradizionale fallisce o non c’è; dobbiamo quindi puntare a migliorare la sintomatologia, spesso più insidiosa della malattia stessa. Il mio auspicio è che, sia nella mia regione, ma anche in tutta Italia, si facciano corsi di formazione e si insegni ai nuovi medici, ma non solo, a utilizzare questa terapia perché più dottori la prescrivono e maggiori saranno i confronti, i risultati, più ampia sarà la base di partenza per report seri fatti con lo scopo di evidenziare l’efficacia delle terapie. L’obiettivo è che questa terapia venga sempre più prescritta nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale proprio per evitare che poi ci siano pochi medici con un numero incredibile di pazienti, che diventano così difficili da seguire.
Quindi il punto di partenza è la formazione.
Fare formazione ai medici, ma anche informazione ai pazienti, perché in molti non conoscono questa opportunità. Alla base di tutto, c’è però la scienza: per poter dire che una terapia è efficace, è necessario avere una serie di lavori scientifici. Sulla cannabis c’è una notevole letteratura internazionale, ma bisogna fare lo sforzo di accrescere ulteriormente questo materiale proprio per avere un percorso ben definito, per creare delle linee guida e far sì che tutti i medici possano approfittare di questo serbatoio di informazioni per iniziare a lavorare con queste terapie. Quando non c’è altra soluzione, approfittare di una nuova terapia che non ha effetti collaterali, se non blandi, secondo me è una possibilità che a nessun paziente deve essere negata.
Martina Sgorlon
[1] Crisi tonico-cloniche: convulsioni caratterizzate da perdita di coscienza, irrigidimento e scuotimento del corpo, talvolta con perdita di controllo della vescica e morsicatura della lingua