Nemmeno l'ennesimo arresto sembra poter fermare le convinzioni di Fabrizio Cinquini, medico che da anni si batte per affermare le doti terapeutiche della cannabis. Lui che ha scoperto le proprietà terapeutiche della cannabis direttamente su di sé, quando lo aiutò a guarire dall’epatite C contratta nel 1997 mentre prestava servizio su un’autoambulanza, da allora non hai mai nascosto le sue intenzioni di coltivare diversi ceppi di cannabis medicale, da lui stesso selezionati per il trattamento di diverse patologie.
La vicenda ha del paradossale soprattutto se si pensa che il dottore vive e lavora in Toscana, una delle Regioni italiane all'avanguardia per quanto riguarda la legislazione in fatto di cannabis terapeutica, che sta attualmente ospitando, presso lo Stabilimento chimico farmaceutico militare, l'unica coltivazione a scopo terapeutico attualmente autorizzata in Italia.
Ad ogni modo il medico e attivista per il diritto alle cure a base di cannabis era già arrestato e condannato a sei anni di reclusione in passato. In questi giorni Cinquini stava coltivando 25 piante di cannabis, 16 in vaso e le restanti nel terreno, in un campo posto a pochi chilomentri dalla sua abitazione. Una coltivazione che il medico aveva sempre rivendicato e non effettuato di nascosto, in un terreno contornato di abitazioni.
"Meglio un'altra carcerazione che stare fuori da schiavo del monopolio delle multinazionali o della mafia" ha dichiarato in un'intervista a Il Tirreno, raccontando che "non è vero che mi hanno arrestato e portato in carcere, mi hanno trattenuto per alcune ore e poi rimandato a casa. Poi hanno detto che sono venuti a prendermi di notte mentre annaffiavo le piante. Era mezz'ora dopo il tramonto e c'era ancora luce, e non è un dettaglio da poco perché annaffiare di giorno o di notte ha una valenza giuridica: prevede il dolo. Nel mio caso non c'è, io non mi nascono: coltivo cannabis alla luce del sole".
Riguardo i motivi che l'hanno spinto ad intraprendere questa coltivazione, Cinquini - che ha precisato di continuare ad esercitare la sua professione di medico perché in questi anni l'Ordine dei medici di Lucca non l'ha mai sospeso e quindi gestisce i propri pazienti a domicilio - ha spiegato di utilizzare la cannabis per curare alcuni pazienti, oltre che la demenza senile della madre 76enne ed il proprio fegato minacciato dall'epatite C, facendo risparmiare alla madre 8mila euro l'anno. "Oltretutto - ha precisato - sapendo preparare la cannabis medicale meglio di molti altri, mi affranco dalla mafia albanese o marocchina dalla quale molta gente è costretta a rifornirsi e mi affranco anche dalla mafia di Stato che ci fa buttare via tanti soldi".
Interrogato dalla giornalista su questo punto il dottore spiega infatti di essere rimasto deluso dal progetto dell'Istituto farmaceutico che "sta realizzando solo una parte del progetto iniziale in base all'idea originaria che io avevo avuto e cioè che l'Istituto si occupasse solo dell'estrazione della sostanza e della produzione dei farmaci, mentre la cannabis avrebbe dovuto essere coltivata in tutte le caserme di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, così avremmo avuto una produzione sufficiente per l'Europa, non solo per l'Italia, invece non ne avremo a sufficienza nemmeno per l'Italia".
Intervistato da ilfattoquotidiano.it, il dottore ha invece rivelato i suoi timori, in vista del nuovo processo: “Temo una pena esemplare, che scoraggi tutti i malati che vogliono coltivarsi la cannabis a scopo terapeutico”.
Nel frattempo in sua difesa si sono mossi consiglieri regionali e alcuni deputati, con interrogazioni parlamentari in particolare da parte del M5s, ma anche di Sel. L’ultimo appello arriva da Enzo Brogi, ex consigliere regionale toscano e promotore della prima norma italiana per i farmaci cannabinoidi a carico del sistema sanitario regionale. "C’è chi fa gesti simbolici - ha dichiarato Brogi - io invece questa volta mi appello al buon senso: non gettiamo anni di ricerca del Dott. Fabrizio Cinquini. Non mandiamo al macero una piccola coltivazione di piante; ibridi di quarta generazione di cannabis medicale di cui Cinquini stava studiando gli effetti antidolorifici e di controllo sulla perdita della memoria. Faccio una proposta: quelle piante, se proprio non potrà coltivarle lui, portiamole allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze. Sarebbe un atto di civiltà, una soluzione intelligente. In questo modo potremmo incentivarne la produzione e portare avanti un pezzo di ricerca importante. Sappiamo che l’attuale produzione del Farmaceutico rischia di non essere sufficiente perché basata su stime di consumi che non corrispondono al vero fabbisogno, alla reale richiesta, di farmaci cannabinoidi. Un’altra questione che dovrà essere affrontata”.
Qui potete invece trovare un articolo che il dottor Cinquini ha scritto per Dolce Vita esattamente dieci anni fa. Dieci anni in cui, nonostante il suo coraggio, quello di molti altri attivisti ed associazioni e le leggi a livello nazionale e regionale, la situazione nel nostro Paese non sembra essere cambiata di molto.
Mario Catania