Pubblichiamo qui di seguito il secondo intervento dello psicologo Michele Metelli sulla rivista cartacea Cannabis Terapeutica, che esplora la cannabis dal punto di vista terapeutico e le innumerevoli connessioni con la nostra mente
Quando sentiamo la parola depressione ci appare immediatamente chiaro di cosa si sta parlando. Sebbene il termine sia stato mutuato dall'ambito economico (in riferimento al crollo della borsa del 1929 - grande depressione), siamo certi che stiamo parlando di una malattia della psiche caratterizzata dall'esperienza di tristezza, o tecnicamente, una deflessione del tono dell'umore. Uno degli aspetti della depressioneè la varietà sintomatologica con cui si manifesta: tristezza persistente, insonnia o ipersonnia, pianto, pessimismo, mancanza di speranza, mancanza di interesse (nelle attività lavorativa e di piacere, compresa la sfera della sessualità), irritabilità, pensieri suicidari, tentativo di suicidio. Questa pluralità determina quadri che si caratterizzano per livello di gravità dei sintomi, per la loro durata, per la cause sottostanti e per la loro presenza in associazione ad altre malattie mentali e non. In questo quadro, prima chiamato melanconia ed oggi depressione, una delle costanti presenti nell'esperienza di chi ne soffre è l'incapacità a provare gioia; ed è proprio nell''esperienza della gioia che è possibile individuare una connessione tra cannabis e il “male del secolo”.
Per fare ciò è necessario chiamare in causa il livello biologico, in particolare il sistema endocannabinoide: una complessa rete di modulazione cellulare costituita da recettori (pag. 4, ndr). I legandi endogeni sono l'anandamide e il 2-AG, quelli invece esogeni sono i numerosi fitocannabinoidi presenti nella cannabis, tra i più conosciuti il THC e il CBD. Fu proprio il THC a permettere la ricerca sul sistema cannabinoide: la scoperta dell'andamide ad opera di Mechoulan, Hanus e Devane nel 1992 è avvenuta proprio grazie al cannabinoide psicoattivo. Il THC ha una funzione mimetica dell'anandamide, la molecola della gioia (da ananda, dal sanscrito beatitudine, felicità), grazie alla forma tridimensionale molto simile.
Tuttavia lo stato dell'arte della ricerca nel campo dei cannabinoidi e della salute mentale, nel nostro caso della depressione, risultano ancora contradditori, sebbene sia chiaro il ruolo del sistema endocannabinoide sia implicato nell'esperienza di piacere e di gioia, e dunque anche della loro assenza, resta ancora da scoprire anora molto a livello fisiologico. Se da una parte, a livello clinico, resiste ancora una considerazione della cannabis solamente nel suo aspetto di sostanza di abuso (l'uso continuativo della sostanza provocherebbe una sindrome amotivazionale, e dunque sovrapponibile a parte della sintomatologia depressiva), nei paesi ove è consentito l'uso medico di estratti galenici della cannabis, i cannabinoidi vengono utilizzati al fine di mettere fine a condizioni depressive.
Ricerche evidenziano un funzionamento simile a livello neurobiologico dei cannabinoidi (assunto in basse dosi) con i farmarci antidepressivi di nuova generazione SSRI (Piomelli, 2003. Gobbi, 2007. Serra et all., 2011) . Rimane comunque una questione controversa: sembrebbe che i composti con presenza di CBD e CBG diano risultati meno contrastanti. Recenti studi hanno portato alla luce il ruolo di altre molecole presenti nella pianta di cannabis e in una ampia gamma di piante, la cui azione è antidepressiva. Si tratta dei terpeni, i composti che donano aroma ai fiori. Russo, nel 2011, ha avanzato l'ipotesi di una complessa interazione sinergica tra fitocannabinodi e terpenoidi al fine di curare affezioni della psiche (ma non solo).
Ad oggi il panorama scientifico sembra molto interessato all'enorme complessità di principi attivi della pianta di cannabis e del loro ruolo terapeutico in moltissime patologie. Il metodo scientifico ha però bisogno di tempo per arrivare a certezze che tuttavia, dal punto di vista empirico, sono più che assodate. Culture mediche millenarie hanno sempre trovato nella cannabis un potente alleato nella cura della depressione, così come i dispensari californiani prescrivono strain genentici di cannabis (con presenza di CBD che modula il THC e di terpene citrus) specifici per il “male del secolo”. L'unica certezza, viste le premesse, è che l'improvvisazione e la cura fai da te è molto rischiosa, poiché, ricercando un effetto, vi è il rischio dell'effetto paradosso: l'aumento cioè dei sintomi che si cerca di eliminare.
Dott. Michele Metelli, psicologo
Pubblicato sulla rivista Cannabis terapeutica, n°2 – settembre/ottobre 2014