Qual è la situazione per i pazienti che assumono cannabis e devono guidare?
Cannabis terapeutica e patente: una questione complessa, sopratutto per i pazienti che non hanno linee guida chiare da seguire e, oltre alle patologie che li affliggono, vivono, lavorano e guidano la propria auto con il terrore di vedersi la patente sequestrata per l'utilizzo di un farmaco.
Alla tematica abbiamo dedicato un webinar (guardalo cliccando QUI), nel quale abbiamo potuto ascoltare testimonianze e punti di vista dell'avvocato Lorenzo Simonetti di Tutela Legale Stupefacenti, ed Elisabetta Biavati, paziente e presidente dell'Associazione Pazienti Cannabis Medica.
L’obiettivo dell’evento stavolta era quello di fare chiarezza sulla situazione legislativa italiana in tema di cannabis terapeutica, guida e patente, per affrontare insieme le questioni cruciali legate alla guida sotto l'influenza della cannabis.
L'incontro si è aperto con l'avvocato Simonetti, che ha delineato la complessità dell'articolo 187 del Codice della Strada, sottolineando l'importanza di distinguere due elementi fondamentali: lo stato di alterazione e l'assunzione di sostanze stupefacenti. Questa duplicità, ha spiegato, è essenziale per stabilire la pericolosità del conducente e distingue la guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti dalla guida in stato di ebbrezza.
Una prima distinzione: stato di alterazione e stato di ebrezza
Nel caso della guida in stato di ebbrezza, la sola presenza di alcool è sufficiente per configurare il reato, indipendentemente dalla manifestazione di sintomi di alterazione. Diversamente, nel caso della guida in stato di alterazione causata dall'assunzione di sostanze stupefacenti come la cannabis, è necessario verificare sia lo stato di alterazione che l'effettiva assunzione di tali sostanze. Questo significa che la valutazione della pericolosità intrinseca del conducente sotto l'effetto della cannabis richiede una verifica di entrambi gli stati.
Da questo spunto di riflessione è stato naturale estenderci all’analisi della proposta di riforma in dicussione in Parlamento, secondo la quale basterebbe essere positivi al THC, indipendentemente da quando è stato assunto, per configurare il reato. L’avvocato, a seguito di quanto discusso, ha sollevato dubbi sulla validità di tale approccio, criticando l'assenza di una valutazione dello stato di alterazione, che ritiene fondamentale per la giustizia legale.
La testimonianza di Elisabetta
Elisabetta Biavati, il cui caso è diventato esemplare nella lotta per i diritti dei pazienti, ha raccontato la testimonianza del percorso, durato 9 mesi, che ha seguito per ottenere il rinnovo della patente dopo aver dichiarato l'uso terapeutico della cannabis in commissione. Ha evidenziato il paradosso della sua non idoneità iniziale, attribuita erroneamente a presunti problemi di memoria anziché all'uso della cannabis terapeutica, il che ha permesso di argomentare circa le sfide finanziarie e psicologiche affrontate dai pazienti durante il processo di rinnovo della patente, dal dover sostenere una spesa aggiuntiva, all’affrontare prove di guida elementari e superflue se relazionate alle motivazioni che l’hanno portata a dover affrontare quella situazione.
RFI e Tar nei casi di non idoneità
Nel suo racconto ha spiegato che, dopo la non-idoneità indicata dalla Commissione medica locale, si è rivolta alla RFI (Rete Ferroviaria Italiana) che equivale ad una commissione provinciale, alla quale fare una sorta di "ricorso" dopo il rigetto della commissione locale.
L'altra possibilità, evidenziata dall'avvocato, è quella di fare direttamente ricorso al Tar.
Il bisogno di creare delle linee guida
Si configura quindi la necessità di proporre linee guida uniformi per le commissioni mediche locali avanzando, in un secondo momento una revisione del Codice della Strada, così da poter tracciare delle indicazioni utili per evitare ingiustizie nei confronti di persone che stanno lottando contro situazioni di salute già troppo complicate e disegnato speranze di cambiamento. L’avvocato Simonetti ha sottolineato che dimostrare l'uso terapeutico della cannabis può essere per questo cruciale, e ha evidenziato l'importanza di prescrizioni valide. Condizione realizzabile però solo a seguito di un’adeguata formazione dei medici, i quali a volte si trovano a non prescrivere terapie a base di cannabis o per evitare disagi simili ai propri pazienti o per una mancanza della conoscenza sull’argomento.
I pazienti possono infatti ritrovarsi a vivere situazioni difficili a seguito di una rilevazione che li indichi come soggetti sotto effetto di cannabis, per questo i medici tendono a evitare di creare terreno fertile per situazioni simili. Le persone entrano così al centro del dibattito. Viene citato il commento inviato durante la live di una paziente che, affetta da glaucoma, ha iniziato una terapie a base di cannabis e che dice di dover rinnovare la patente, rivelando però di temere di non risultare idonea perdendo così la propria indipendenza. Cosa fare in questo caso? La risposta è: essere coraggiosi e fare rete con associazioni e persone in condizioni simili. Solo mettendo in evidenza il problema e creando uno storico di casi come quello di Elisabetta o di quest’ultima testimonianza, a dire dell’avvocato, è possibile creare una base di partenza per cambiare la situazione attuale e cercare di creare un contesto legislativo che consenta alle persone che seguono terapie a base di cannabis di non doversi più preoccupare di giustificare le proprie condizioni o vivere situazioni spiacevoli come quella di Elisabetta.
Attenzione da parte della politica
Il webinar si è concluso con un aggiornamento sulla situazione politica, evidenziando il continuo impegno per mantenere la cannabis terapeutica al centro dell'attenzione culminata nella richiesta da parte di Salvini e Fratelli d’Italia di aprire una parentesi di dialogo con l’associazione pazienti cannabis così da spiegare le condizioni attuali dei pazienti che vorrebbero poter guidare e iniziare un percorso di revisione legaler
La collaborazione con il Sottosegretario Molteni è stata citata come positiva, incoraggiando la comunità a rimanere unita per garantire il riconoscimento dei diritti dei pazienti che fanno uso terapeutico della cannabis.
In conclusione: cosa succede se una persona viene trovata positiva al THC alla guida?
Risultare positvi al THC mentre si è alla guida è un reato che può comportare la revoca della patente, sanzioni amministrative e penali e il ritiro del veicolo. La guida in stato di alterazione da sostanze stupefacenti è regolata dall'articolo 187 del Codice della strada, che prevede che il conducente fermato versi in stato di alterazione psicofisica e altresì in uno stato di assunzione di sostanza stupefacente. Questo significa che le forze dell'ordine preposte ai controlli, non devono solo verificare che il conducende sia positivo agli stupefacenti, ma anche che li abbia assunti o contestualmente o poco prima di mettersi alla guida.
La legge non fa distinzione tra uso ricreativo e uso terapeutico. Per quest'ultimo, l'unico cenno è contenuto nel decreto Lorenzin del 2015, che regola il settore della produzione e della distribuzione di cannnabis in Italia, dove viene scritto che chi assume cannabis non dovrebbe guidare per le 24 ore successive. Questo, per un paziente che l'assume quotidinamente, significherebbe non poter guidare. Ad ogni modo, il rilascio della patente pazienti che assumono cannabis con THC, dipende dalla Commissione locale, che dovrebbe valutare caso per caso.
- Guarda il webinar tenuto sull'argomento, con l'avvocato Lorenzo Simonetti di Tutela legale stupefacenti, ed Elisabettat Biavati, presidente dell'Associaizione Pazienti Cannabis Medica, cliccando QUI.
- Leggi i casi limite di due pazienti che assumono cannabis e l'intervista al dottor Antonio Vitello, Direttore SC Medicina Legale dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano cliccando QUI.