Era il 2014 quando i ministeri di Difesa e Salute decisero in concerto di avviare una produzione di cannabis terapeutica italiana presso lo Stabilimento chimico farmaceutico di Firenze, puntando ad una produzione di circa 100 chilogrammi l’anno di cannabis, che nelle intenzioni di oggi dovrebbe essere ampliata a 300 chilogrammi.
In Italia la cannabis a livello medico era già legale dal 2007, quando l’allora ministro della Salute Livia Turco riconobbe con un decreto l’uso in terapia del cannabinoide THC e dei suoi omologhi. Nel 2013, quando ad essere ministro della Salute era Renato Balduzzi, fu esteso il riconoscimento dell’efficacia per scopi terapeutici anche alla pianta di cannabis in forma vegetale e ai suoi estratti e preparati.
Grazie alla legge Di Bella del 1994, la cannabis in Italia è ad oggi prescrivibile, a pagamento per il paziente, per qualsiasi patologia per la quale ci siano studi scientifici pubblicati su riviste accreditate.
In Italia la sanità è gestita a livello regionale ed ogni Regione ha quindi la possibilità di legiferare in materia. In materia di cannabis terapeutica si è così creato uno squilibrio per il semplice fatto che alcune regioni come Toscana, Liguria e Puglia, autorizzano la prescrizione di cannabis per diverse patologie a carico del Servizio sanitario regionale, mentre ce ne sono altre che non hanno ancora approvato una legge.
A fine 2015 era stato il decreto Lorenzin in materia di cannabis terapeutica a far discutere: oltre a dare indicazioni solo per poche patologie sulle decine e decine che si possono trattare con la cannabis, stabiliva che le cure con questo farmaco possono essere prescritte solo dopo che i farmaci tradizionali, come gli oppiacei nella cura del dolore cronico e neuropatico, si siano rivelati inefficaci. In America, dove è presente una vera e propria epidemia per overdose da oppiacei, studi scientifici hanno dimostrato che nei paesi in cui è legale la cannabis terapeutica i decessi causati dai derivati dell’oppio sono calati del 25% ed i medici fanno l’opposto, prescrivendo cannabis a chi è dipendente dagli oppioidi. In Canada una catena di dispensari ha addirittura avviato un programma di sostituzione degli oppioidi con cannabis medica dispensata gratuitamente. Inoltre il decreto ha appesantito il sistema burocratico per ottenere una ricetta ed ha introdotto l’indicazione per i pazienti di evitare guidare per 24 ore dopo l’ultima assunzione.
Altro passaggio molto controverso sono state le multe di oltre 8mila euro comminate a diverse farmacie nel maggio 2017 per presunta pubblicità indiretta alla cannabis. Secondo il ministero della Salute diverse farmacie avrebbero violato la legge che regola le norme sugli stupefacenti per il solo fatto di essere presenti su alcuni motori di ricerca che indicavano quali farmacie avessero cannabis disponibile per i pazienti. Da anni su siti internet simili, se non gli stessi, sono presenti centinaia di farmacie che indicano la propria disponibilità di oppioidi e morfina, senza che nessun provvedimento sia mai stato preso in tal senso.
Un altro decreto che ha fatto molto discutere è stato quello sull’imposizione del prezzo di vendita della cannabis a 9 euro in farmacia, una cifra che obbliga praticamente le farmacie a lavorare in perdita. Il prezzo medio dell’acquisto pagato da una farmacia per la cannabis olandese è di 12 euro (9,90 euro + IVA). Quella italiana viene invece pagata circa 6,88 euro al grammo, prezzo al quale vanno aggiunte l’IVA e le spese di spedizione che si aggirano tra i 15 ed i 25 euro a lotto.
L’imposizione del prezzo ha portato molte farmacie a dichiarare che non avrebbero più distribuito il farmaco. Non solo, perché oltre o portare ad una crescente diminuzione delle farmacie che effettuano il servizio nessuno farà più gli investimenti necessari per iniziare a distribuirla, visto che si tratta dell’acquisto di macchine che costano decine di migliaia di euro solo per eseguire le analisi necessarie per legge.
Intanto, mentre la carenza di cannabis cominciava a produrre i suoi effetti in tutta Italia, pazienti e medici hanno provato a smuovere la situazione con una diffida indirizzata ad Aifa e ministero della Salute realizzata con il supporto del Codacons, l’associazione dei consumatori, e dai legali dell’associazione Art. 32 (associazione italiana per i diritti del malato – Aidma onlus) guidati dall’avvocato Cristina Adducci. E’ stata depositata agli inizi di ottobre e viene chiesto di garantire il diritto alla salute dei pazienti e la continuità delle loro terapie.
Nel frattempo diverse Regioni come Puglia, Toscana, Emilia Romagna e Liguria hanno chiesto al governo di aumentare la produzione di cannabis, oppure il permesso di avviare delle coltivazioni alternative, senza però avere risposta. Gli ultimi due provvedimenti legislativi a livello nazionale sono stati dapprima la proposta d’urgenza in Senato di una legge voluta dal M5S per autorizzare la coltivazione di 4 piante che però è stata respinta, e poi la legge da cui è stata stralciata la legalizzazione che vorrebbe portare ad un aumento di produzione nazionale ed alla prescrizione della cannabis a carico del sistema sanitario nazionale, in attesa di essere discussa in Senato.
Redazione di cannabisterapeutica.info