La legge della Regione Liguria in materia di farmaci a basi di cannabinoidi ad uso terapeutico è parzialmente illegittima. Lo ha sancito la Corte Costituzionale, accogliendo alcuni rilievi sollevati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Con la sentenza n.141 depositata ieri sera (20/06/2013), la Consulta ha bocciato alcuni punti della legge impugnata, per violazione dell'articolo 117 della Costituzione, inerente le competenze di Stato e Regioni.
In particolare, rilevano i giudici delle leggi, la norma in questione è illegittima perché "indicando i medici specialisti abilitati a prescrivere i farmaci cannabinoidi e definendo le relative indicazioni terapeutiche, interferisce con la competenza dello Stato a individuare, con norme di principio tese a garantire l'uniformità delle modalità di prescrizione dei medicinali nel territorio nazionale, gli specialisti abilitati alla prescrizione del farmaco o principio attivo, nonché i relativi impieghi terapeutici". Tale "interferenza determina in concreto un contrasto" sottolinea la Corte, tra la legge impugnata "e le indicazioni contenute nell'atto, la determinazione n. 387 del 9 aprile 2013, successiva alla proposizione del ricorso, con il quale l'Aifa ha autorizzato l'immissione in commercio dell'unico medicinale cannabinoide presente nel mercato italiano".
La legge della Regione Liguria, inoltre, viola il dettato costituzionale sulla suddivisione dei poteri tra Stato e Regioni, nella parte in cui "consente l'attivazione di una convenzione con lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze o con altro soggetto dotato delle medesime autorizzazioni alla produzione di principi attivi stupefacenti a fini medici: poiché il predetto istituto di Firenze - rilevano i giudici costituzionali - non risulta avere acquisito le autorizzazioni che, in base alla legislazione statale, sono necessarie alla produzione di principi attivi stupefacenti a fini medici, essendo l'istituto attualmente autorizzato, come rileva la difesa dello Stato, soltanto alla produzione di alcune forme farmaceutiche e non di principi attivi, il riferimento alle 'medesime' autorizzazioni, letteralmente inteso, induce ad ammettere che la Regione possa stipulare convenzioni per la produzione di principi attivi stupefacenti a fini medici con istituti sprovvisti della specifica autorizzazione dell'Agenzia italiana del farmaco" prevista per legge. "La disposizione regionale si pone così in contrasto - conclude la Consulta - con la disciplina autorizzatoria statale, che rientra tra i principi fondamentali in materia di tutela della salute, essendo posta a garanzia di un diritto fondamentale della persona".