Le proprietà antinfiammatorie dellacannabis sono da tempo riconosciute e sfruttate in ambito medico per trattare condizioni e sintomi di diversa natura. Ora la ricerca fa nuovi passi in avanti per utilizzare la pianta e le sue componenti anche per trattare le patologie intestinali, in particolare le malattie infiammatorie intestinali (IBD). Ecco a che punto siamo.
Cosa sono le patologie infiammatorie intestinali
Le patologie infiammatorie intestinali o IBD (dall’inglese Inflammatory Bowel Disease) sono caratterizzate dall’infiammazione dell’intestino e provocano nei pazienti dolori addominali acuti ed emissioni di feci liquide o semiliquide. Le IBD sono principalmente due: il morbo di Crohn, che interessa spesso il tratto digerente nella sua interezza, e la colite ulcerosa, che, invece, colpisce quasi esclusivamente il colon.
Caratterizzate da sintomi estremamente simili, queste due malattie rendono spesso difficile una diagnosi differenziale con conseguente difficoltà nei trattamenti, una situazione resa ancora più complessa dall’incertezza delle cause scatenanti, anche se i ricercatori ipotizzano una reazione immunitaria anomala dei batteri intestinali su base genetica.
Cannabis e patologie intestinali: la ricerca scientifica
Grazie alle proprietà già riconosciute a livello scientifico, la cannabis e i suoi derivati stanno diventando un’opzione sempre più concreta nel trattamento delle malattie infiammatorie intestinali. In particolare, grazie a studi condotti sui topi affetti da colite, i ricercatori hanno dimostrato che la modulazione del sistema endocannabinoide, che regola numerose funzioni corporee, svolge un ruolo chiave anche nella patogenesi delle IBD, agendo con effetti terapeutici.
Nonostante gli ottimi risultati sui topi, però, per quanto riguarda i dati epidemiologici e gli studi legati alla terapia che coinvolgono gli esseri umani è stato sì rivelato un possibile ruolo dei cannabinoidi nel trattamento sintomatico delle IBD, ma non è ancora stato possibile determinare se tali effetti terapeutici aiutino effettivamente a contrastare la malattia o riescano solamente a nascondere e a gestire i sintomi più debilitanti. Per capirlo e per accettare empiricamente la cannabis come trattamento sono quindi necessari ulteriori approfondimenti, oltre che, in primis, una conoscenza maggiore delle due malattie. A questo si aggiungeranno poi gli studi legati al dosaggio e alle modalità di somministrazione per massimizzare i benefici e limitare i potenziali danni.
Non solo, come si legge in una ricerca intitolata “Therapeutic Use of Cannabis in Inflammatory Bowel Disease” e pubblicata nel 2016 su Gastroenterology and Hepatology, la cannabis potrebbe porre le basi per una vera e propria rivoluzione per il benessere a lungo termine dei pazienti. Attualmente, infatti, le terapie convenzionali volte alla remissione e alla gestione dei sintomi delle IBD agiscono principalmente attraverso la soppressione immunitaria. Purtroppo, però, gli effetti collaterali legati alla cronicità di tali terapie portano nei casi più gravi alla rimozione chirurgica della parte di intestino malato. L’utilizzo della cannabis potrebbe quindi non solo evitare la soppressione immunitaria e i danni a lungo termine, ma anche l’intervento chirurgico altamente debilitante.
Le ultime ricerche scientifiche
A studiare la relazione tra cannabis e patologie intestinali anche una ricerca condotta dal Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell'Università di Padovapubblicata su Frontiers in Pharmacology nell’aprile 2021 e svolta con l’obiettivo di scoprire nuovi approcci per la terapia delle IBD.
“La rilevanza e l'incidenza delle malattie intestinali intestinali (IBD) sono aumentate negli ultimi 50 anni e le attuali terapie sono caratterizzate da gravi effetti collaterali, rendendo essenziale lo sviluppo di nuove strategie che uniscano efficacia e sicurezza nella gestione delle IBD umane”, spiegano i ricercatori. “La Cannabis sativa è stata tradizionalmente utilizzata per secoli come rimedio analgesico e antinfiammatorio anche in diversi disturbi gastrointestinali e questa ricerca mira a studiare gli effetti di diversi composti isolati di cannabis in un modello in vitro di epitelio intestinale. I nostri risultati, ottenuti dalla valutazione della produzione di ROS, dalle misurazioni di TEER, della permeabilità paracellulare e dalla valutazione delle giunzioni strette, mostrano il cannabidiolo come il composto più promettente contro la condizione infiammatoria intestinale. Il cannabidiolo, infatti, è in grado di inibire la produzione di ROS e ripristinare la permeabilità epiteliale durante condizioni di stress infiammatorio e ossidativo, suggerendo una sua possibile applicazione come adiuvante nella gestione delle IBD”.
Ora si attendono nuovi sviluppi e approfondimenti.
Martina Sgorlon