Arriva da due nuovi studi una prova scientifica che va contro la credenza diffusa che la cannabis possa danneggiare la memoria o le funzioni cognitive. Quello degli effetti della cannabis sulla nostra mente è un argomento dibattuto sul quale gli esperti non riescono a dare risposte univoche. Tempo fa era stato diffuso uno studio che aveva fatto il giro del mondo sostenendo che fumare cannabis “rende stupidi”, ricerca poi smentita da una pubblicazione sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences dove si spiegava che: "Lo studio fa confusione" e il calo del punteggio totalizzato nel test del Q.I. non sarebbe dovuto alla cannabis ma da differenze socioeconomiche tra gli individui del campione. Numerosi studi scientifici sostengono invece che il consumo a lungo termine possa danneggiare alcune funzioni cerebrali come la memoria cosiddetta di lavoro, o le funzioni cognitive oppure che possa contribuire all’insorgere di patologie mentali, soprattutto in casi di predisposizione.
L’opinione di molti esperti è che non ci sono prove certe che la cannabis sia una fattore determinante, ma il dibattito scientifico è aperto. Ad esempio una recente pubblicazione dei ricercatori delle Harvard University Medical School su Schizophrenia Research spiega che: "Non c’è ancora un prova scientifica definitiva del fatto che l’uso di cannabis possa causare psicosi". Due studi scientifici di quest’anno danno un’altra chiave di lettura degli effetti che la cannabis può avere sul nostro cervello. Il primo ad opera dei ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell'Università di Amsterdam, pubblicato su Addiction Biology, in cui sono stati monitorati per 3 anni 22 consumatori pesanti di cannabis, 4 ex consumatori pesanti di cannabis astinenti da 3 anni e 23 non consumatori di cannabis come gruppo di controllo. Dopo vari test effettuati, secondo gli scienziati non c'era differenza tra il funzionamento della memoria di lavoro dei fumatori di cannabis o dei non fumatori: "Questi risultati aggiungono alla letteratura scientifica la prova che l'uso regolare di cannabis non danneggi le funzioni cerebrali", hanno scritto. E in un altro studio pubblicato in marzo sul Journal of Clinical and Experimental Neuropsychology che ha messo a confronto le capacità cognitive di 35 studenti fumatori di cannabis e 35 non fumatori di età compresa tra i 18 e i 20 anni, gli autori hanno scritto che: "Gli utilizzatori di cannabis hanno dimostrato un quoziente intellettivo paragonabile a quello del gruppo di controllo dimostrando però una maggior velocità nel processare le informazioni". I fumatori sono stati più abili anche riguardo alla fluenza verbale mentre hanno avuto punteggi leggermente inferiori nei test di decisioni motivazionali , impegno e memoria verbale.
In un altro studio pubblicato nel giugno 2014 sempre su Schizophrenia Research della durata di quattro anni nei quali sono stati seguiti 170 individui ad alto rischio di psicosi, i ricercatori hanno concluso che l'uso di cannabis non ha avuto alcun effetto sullo sviluppo del disturbo. "I risultati hanno rivelato che un moderato uso di alcool, ma non l'uso di cannabis né del tabacco, hanno contribuito all’insorgere di psicosi nel campione ad alto rischio clinico", ha scritto l’autore principale dello studio, il dottor Jean Addington dell’Università di Calgary. Allo stesso modo in uno studio del dicembre 2012 pubblicato su Psycological Medicine, rivista online dell’Università di Cambrige, i ricercatori spiegano di aver seguito per 6 anni 101 ragazzi di età compresa tra i 12 e i 22 anni in cura presso un ospedale psichiatrico di New York considerati ad alto rischio e che i dati attuali: "Non supportano il fatto che un basso o moderato consumo di cannabis sia collegato ad un maggior rischio di sviluppare psicosi o disagi a livello sociale in giovani ad alto rischio".
In tutto questo ricordiamo come molti dei nuovi approcci terapeutici riguardo alla cannabis siano rivolti al CBD e altri cannabinoidi che non sono psicoattivi e che i cannabinoidi stanno rivelando di avere diverse proprietà neuroprotettive. Ad ogni modo sono molti i medici e gli studi che sostengono come il consumo continuativo di cannabis, soprattutto in età dai 12 ai 21 anni (età in cui il cervello continua a svilupparsi) possa influire sullo sviluppo cerebrale, portando ai problemi sopra indicati. Naturalmente è diverso il discorso in ambito terapeutico, dove il paziente dovrebbe essere seguito da un medico nella terapia. Secondo Daniela Parolaro, professore ordinario di Farmacologia Cellulare e Molecolare all’Università dell’Insubria di Varese e di recente eletta presidente della IACM (International Associatione for Cannabinoid Medicine) per l’Italia, che avevamo intervistato tempo fa: "L’abuso di cannabis ad alto contenuto di THC in età precoce (12/14 anni), può predisporre a patologie psichiatriche in età adulta. Questo non significa che non si possano avere terapie con farmaci a base di THC, dipende sempre dal dosaggio. In generale ci sono altri farmaci con effetti collaterali più pesanti che vengono prescritti e ci sono casi limite di pazienti in cui non è certo il THC a fare male. Spesso basterebbe usare il buon senso, criterio che a volte ci si dimentica di considerare".
Pubblicato sulla rivista Cannabis terapeutica, n°2 – settembre/ottobre 2014