Cannabis e cancro, continua la sperimentazione allo IEO di Milano. “L’utilizzo della cannabis terapeutica nell’ambito delle cure palliative e in particolare nei pazienti oncologici è un argomento che sta incontrando sempre più riscontro e sempre più utilizzo nella pratica clinica”. È la visione del dottor Vittorio Guardamagna, direttore dell’Unità di Cure Palliative e Terapia del Dolore dello IEO, l'Istituto europeo di oncologia di Milano, e componente del comitato etico della fondazione Veronesi. “Stiamo parlando di un mondo in cui il farmaco può produrre effetti benefici per il paziente sia dal punto di vista del controllo del dolore, ma anche su una serie di sintomi che il paziente oncologico in fase avanzata presenta, come l’insonnia, l’agitazione, la perdita d’appetito, che vanno ad impattare gravemente sulla qualità della vita”. Secondo l’opinione del dottore “ci troviamo di fronte a un farmaco che non definirei panacea, ma quasi, nel senso che il beneficio sulla qualità della vita e globale”.
Nel 2018 allo IEO sono stati avviati dei corsi di formazione interna su come si prescrive, come si utilizza, quali sono le tipologie dei diversi cannabionidi, le indicazioni terapeutiche per un corso molto pratico con l’obiettivo di arrivare a formare tutti gli oncologi.
“I risultati sono eccezionali: abbiamo un’ottima risposta sugli aspetti clinici dei pazienti: non abbiamo ancora incominciato le sperimentazioni sull’azione dei cannabinoidi direttamente sulla malattia oncologica, ma su tutto quello che dalla diagnosi, durante le cure e nella fase avanzata la cannabis può produrre positivamente sul paziente. Avere un ottimo supporto preparato con un farmaco che è molto sicuro e quasi esente da effetti collaterali, permette di ottimizzare le cure come radio e chemioterapia”.
L'uso di terapie anticancro combinate presenta infatti una serie di vantaggi rispetto al singolo trattamento poiché consentono di colpire simultaneamente la crescita, la progressione e la diffusione del tumore a vari livelli. Recenti osservazioni suggeriscono che la somministrazione combinata di cannabinoidi con altri farmaci antitumorali agisce in sinergia per ridurre la crescita del tumore. Ad esempio, la somministrazione di THC e temozolomide, farmaco chemioterapico, esercita una forte azione antitumorale nel glioma, un effetto che è evidente anche nei tumori resistenti a temozolomide. Un effetto simile è stato osservato quando THC e CBD sono stati combinati con la radioterapia in modelli animali di melanoma. Poiché la maggior parte dei pazienti con glioblastoma viene sottoposta a trattamento con temozolomide, i risultati precedenti indicano che la somministrazione combinata di temozolomide e cannabinoidi potrebbe essere sfruttata terapeuticamente per la gestione del glioblastoma e forse di altri tipi di tumore come il melanoma.
Allo stesso modo, un altro studio ha dimostrato che la somministrazione combinata di gemcitabina (l'agente di riferimento per il trattamento del cancro del pancreas) e vari agonisti dei cannabinoidi ha ridotto sinergicamente la vitalità delle cellule tumorali pancreatiche. Inoltre La somministrazione combinata di THC e CBD migliora l'attività antitumorale del THC e riduce la dose di THC necessaria per indurre l'attività inibitoria della crescita del cancro.
Oltre che per trattare i sintomi del cancro e ridurre gli effetti collaterali delle terapie tradizionali, la cannabis è studiata anche anche per le sue potenzialità nel combattere direttamente diversi tipi di tumore; ci sono ormai un centinaio di studi su cellule e cavie animali che dimostrano come diversi cannabinoidi inneschino vari meccanismi che uccidono le cellule tumorali senza danneggiare quelle sane. Quello che manca sono gli studi clinici che testino queste potenzialità sui pazienti.
Massimo Nabissi è un ricercatore dell’Università di Camerino che lavora da tempo su questa tematica con studi e pubblicazioni su questi meccanismi. “Oramai lo studio dei cannabinoidi per le loro proprietà anti-cancerogene è una realtà, ed è assurdo che ci sia una mentalità così restrittiva: sul tumore al polmone, alla mammella, alcuni dati sul pancreas, sul tumore cerebrale e sul mieloma, di studi pre-clinici ce ne sono almeno un centinaio, sempre più dettagliati: quello che manca è la ricerca clinica eseguita sui pazienti”. “Con una mole di lavori preclinici così ampia”, continua Nabissi, “non si capisce perché non vengano autorizzati i primi studi clinici. Bisognerebbe prendere le evidenze interessanti, fare un ultimo lavoro preclinico con dei parametri, in modo che, se i risultati sono buoni, si possa passare alla ricerca clinica con delle linee guida decise a priori”. L’auspicio per il futuro dunque è che “si raccolgano i dati dei vari pazienti oncologici che sono trattati con cannabis in Italia e si creino dei clinical report che raccolgano un numero maggiore di pazienti affetti dalla stessa patologie e trattati allo stesso modo, per poi riportare i risultati, in modo da avere un protocollo da seguire”.
E una prima apertura arriva proprio dallo IEO e dal dottor Vittorio Guardamagna: “Quello che ci dicono i ricercatori riguardo la ricerca preclinica è estremamente interessante. In questo momento noi siamo a livello aneddotico e abbiamo dei case report molto interessanti ma che ci fanno percepire che è un campo che andrà esplorato e stimolerà la ricerca futura che speriamo di poter portare a termine nei prossimi anni”.