Il cannabinolo (CBN) potrebbe prevenire l’invecchiamento delle cellule cerebrali e proteggere il cervello dalle condizioni neurodegenerative legate all’età. È questo quanto emerge da un recente studio svolto in California. Che il CBN sia la tanto desiderata fonte della giovinezza?
Cannabinoidi “minori”: l’importanza della ricerca
Le proprietà terapeutiche della cannabis sono ormai note e con il passare del tempo aumentano le ricerche e gli studi in merito. Per anni, però, i riflettori sono stati puntati sulle sue componenti principali, CBD e THC, dedicando meno spazio e attenzione a cannabinoidi cosiddetti “minori” come acido cannabidiolico (CBDA), cannabigerolo (CBG), acido cannabigerolo (CBGA), cannabidivarina (CBDV) e cannabinolo (CBN). Quest’ultimo ho una struttura molecolare molto simile a quella del THC, ma non è psicoattivo.
Oggi, però, la situazione sta cambiando e continua a crescere il numero degli studi dedicati esclusivamente ai cannabinoidi “minori” e alla loro interazione con il sistema endocannabinoide e, in particolare, con il sistema nervoso; tra i più recenti anche lo studio dell’Università di Sidney dedicato al CBGA contro l’epilessia.
Il cannabinolo come neuroprotettore: lo studio del Salk Institute for Biological Studies
Oggi, agli studi già in corso, si affianca quello del Salk Institute for Biological Studies, in California, che ha analizzato la relazione tra CBN e cervello e, in particolare, la capacità del cannabinolo di proteggere le cellule cerebrali dai processi ossidativi che le portano al deperimento; processi che nelle persone anziane portano a disturbi neurologici degenerativi come l’Alzheimer.
Focus dello studio pubblicato su Free Radical Biology and Medicine e intitolato “Cannabinol inhibits oxytosis/ferroptosis by directly targeting mitochondria independently of cannabinoid receptors”, il processo di ossitosi-ferroptosi, che porta a danni cellulari neuronali e alla morte delle cellule cerebrali mediante ossidazione lipidica. Il processo coinvolge principalmente i mitocondri, considerati le “centraline energetiche” delle cellule in quanto hanno il compito di trasportare e fornire a queste ultime l’energia necessaria per il loro corretto funzionamento e sviluppo.
I risultati dello studio: relazione tra cannabinolo e mitocondri
Dalla ricerca condotta dal Salk Institute, il CBNsembra agire preservando e proteggendo il funzionamento dei mitocondri, impedendo loro di danneggiarsi.
Secondo Pamela Maher, direttrice del laboratorio di neurobiologia cellulare del Salk Institute e tra i ricercatori dello studio, questa scoperta porterebbe allo sviluppo di nuovi farmaci e piani per il trattamento di varie malattie neurodegenerative, in particolare Alzheimer e Parkinson. “Il cannabinolo protegge i neuroni da stress ossidativo e morte cellulare, due dei principali fattori che contribuiscono alla malattia di Alzheimer”, ha affermato Pamela Maher. “Questa scoperta potrebbe un giorno portare allo sviluppo di nuove terapie per curare questa malattia e altri disturbi neurodegenerativi, come la malattia di Parkinson”. Il laboratorio di Maher, inoltre, aveva già studiato l'uso del cannabinolo in passato e questa recente indagine è stata condotta sulle prime scoperte fatte dal team.
I prossimi passi da compiere nella ricerca
Inoltre, la disfunzione mitocondriale non è coinvolta solo nell’invecchiamento del cervello, ma anche in cambiamenti di vari tessuti dell'organismo. Dunque, il fatto che questo composto sia in grado di mantenere la funzione mitocondriale suggerisce che potrebbe avere benefici che vanno ben oltre il contesto della malattia di Alzheimer, ponendo così il CBN come una nuova fonte della giovinezza in diversi ambiti terapeutici.
“Questa scoperta apre la strada a ulteriori ricerche oltre il contesto delle condizioni neurodegenerative”, ha concluso Maher. “Il prossimo punto all'ordine del giorno per il team sarà quindi riprodurre lo studio di cui sopra in un modello murino preclinico”.
A questo si aggiunge un altro aspetto chiave per i futuri sviluppi della ricerca sulla cannabis terapeutica. Lo studio sul CBN, infatti, sottolinea ancora una volta la necessità di ulteriori indagini sui cannabinoidi “minori” e che potrebbero nascondere proprietà e benefici in grado di migliorare le condizioni dei pazienti di tutto il mondo.
Martina Sgorlon