Il giudice federale di Rosario ha approvato la richiesta delle "Madres que se plantan" e ha permesso loro di coltivare cannabis a scopo medicinale per i loro bambini. Sono sette le mamme che possono coltivare cannabis e produrre l'olio senza subire procedimenti penali, sebbene con una serie di condizioni.
Le donne hanno sottolineato che la loro testimonianza in prima persona è stata fondamentale, così come il supporto ottenuto attraverso l'Università Nazionale di Rosario (UNR) da parte dei presidi di Facoltà di biochimica e farmaceutica, Esteban Serra Scienze, e la Facoltà di Scienze mediche, Ricardo Nidd. E' da diversi anni che gruppi di mamme lottano perché venga garantita la continuità terapeutica per il trattamento delle patologie dei propri figli.
“I medici e gli avvocati avevano già incontrato il Presidente” ricorda Erika Ato, una delle donne che ha contribuito al cambiamento della legge, ma “una cosa è che ti parlino dal punto di vista scientifico un’altra è sentire racconti di una madre che grazie al trattamento è riuscita a dormire ben 8 ore di fila dopo oltre tre anni o di un’altra madre che è tornata al ristorante con la propria famiglia dopo oltre 5 anni perché il figlio non ha più attacchi epilettici”.
La sentenza storica permette loro di seminare e raccogliere cannabis a scopo terapeutico, per la produzione di olio che allevia diverse patologie tra cui la sindrome di Asperger, la sindrome di Tourette e varie forme di epilessia. La condizione è che la facoltà di Scienza e biochimica dell’università abbia il potere di controllare il prodotto, e che le mamme siano accompagnate nel processo da un’associazione di professionisti.
Inoltre la sentenza del giudice ordina al governo nazionale, attraverso il ministero della Salute e dello Sviluppo Sociale di "coltivare e produrre cannabis e derivati allo scopo di fornire gratuitamente e ininterrottamente l’olio medicinale".
“L’ipocrisia è finita. Finalmente possiamo piantare e coltivare cannabis, a scopo terapeutico per i nostri figli, senza il timore di essere incriminate. Il giudice ci aveva anche proposto di importare l’olio dal Giappone, ma per noi sarebbe stato un ripartire da zero, non conoscendo a fondo gli effetti sui sintomi delle malattie dei nostri figli. Ci siamo messe in gioco e abbiamo vinto”, sottolinea Erika, facendo riferimento alla disobbedienza civile che avevano deciso di portare avanti.
Nella sentenza del giudice Aramberri si legge: “Ho particolarmente apprezzato la necessità di cercare di evitare qualsiasi battuta di arresto per i notevoli progressi nella qualità della vita dei bambini e delle loro famiglie, valutando attentamente le conseguenze di una possibile interruzione”.
La stessa situazione, quella della carenza della cannabis con il conseguente rischio di vedere interrotti i propri piani terapeutici, in cui sono ormai da anni anche i pazienti italiani.
L'azione delle madri e la conseguente sentenza sono stati uno stimolo per molte famiglie che lottano per migliorare la qualità della vita dei loro figli ed è la prima ad avere un effetto nazionale, e non solo sul caso individuale.
Romana De Micheli