La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza senile e può contribuire al 60-70% dei casi, interessa fino al 5% della popolazione sopra i 65 anni, fino a raggiungere il 30% negli over 80.
In Italia si stimano circa 500mila ammalati, 50 milioni nel mondo e 10 milioni di nuove diagnosi ogni anno.
I sintomi
La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare, ma può causare anche altri problemi, fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale. Spesso ha un inizio subdolo: le persone cominciano a dimenticare alcune cose, per arrivare al punto in cui non riescono più a riconoscere nemmeno i familiari e hanno bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici. La malattia di Alzheimer è caratterizzata da placche neuritiche extracellulari costituite da depositi del peptide βamiloide (βA). Le conseguenze di questa degenerazione nervosa sono la progressiva perdita di memoria a breve termine e di molteplici abilità intellettive.
La diagnosi
L’unico modo per avere una diagnosi sicura di Alzheimer è necessario sottoporre il paziente a degli esami cerebrali specifici che siano in grado di rilevare l’accumulo della proteina neurotossica beta amiloide.
La terapia
Oggi, purtroppo, non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenerne i sintomi. Per alcuni pazienti, in cui la malattia è in uno stadio lieve o moderato, farmaci come Tacrina, Donepezil, Rivastigmina e Galantamina ossono aiutare a limitare l’aggravarsi dei sintomi per alcuni mesi. Questi principi attivi funzionano come inibitori dell'acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge l'acetilcolina, il neurotrasmettitore carente nel cervello dei malati di Alzheimer.
La cannabis può essere d’aiuto per la sua azione sulle microglia (cellule del sistema nervoso centrale) e sullo stress ossidativo, soprattutto risulta importante l’azione dei cannabinoidi sui recettori CB2 presenti sulle cellule microgliali. Sono infatti note le interazioni, sia come agonisti sia come antagonisti, sui recettori del Sistema Endocannabinoide umano, CB1 e CB2, sui recettori serotoninergici 5HT1A e 5HT3 e sui recettori vanilloidi, in particolare TRPV1. Grazie a questa capacità di legame, il THC e il CBD hanno mostrato numerose proprietà terapeutiche nel trattamento di alcune malattie neurodegenerative, in particolare nella malattia di Alzheimer.
Osservando gli attuali dati presenti in letteratura (2010, 2014, 2016), i risultati più consistenti riguardanol’azione neuro protettiva e antiossidante sia di CBD che di THC che potrebbero rappresentare una vera e propria risorsa terapeutica per limitare l’estensione e la gravità dei danni neuronali tipici delle malattie neurodegenerative. La cannabis terapia andrebbe abbracciata già nelle prime fasi della malattia perché agisce riducendo il processo neurodegenerativo. Nelle fasi più avanzate della malattia ha comunque un ruolo importante poiché, oltre a ridurre la formazione di proteina Aβ ha un’azione riducente l’ansia, la paura, migliora l’appetito, toglie il dolore, facilita il sonno.