La cannabis viene utilizzata da secoli per trattare numerose patologie e condizioni, sia fisiche e psicologiche. I benefici legati all’utilizzo della pianta sono da ricondurre in particolare ai cannabinoidi, che, imitando gli effetti degli endocannabinoidi già presenti all’interno dell’organismo, e legandosi al sistema endocannabinoide contribuiscono all’omeostasi, ossia al benessere e all’equilibrio del corpo in ogni sua parte.
Nonostante questo, però, l’utilizzo medico della pianta e dei suoi derivati è ancora molto limitato, soprattutto in Italia. Per una panoramica sulla situazione attuale e, in particolare, sui trattamenti a disposizione dei pazienti oncologici, abbiamo intervistato la dottoressa Chiara Liberati, neurochirurgo specializzato in Cure Palliative e Terapia del Dolore all’Istituto Europeo di Oncologia.
Intervista alla Dottoressa Chiara Liberati: la cannabis terapeutica per i pazienti oncologici
Come si è avvicinata ai trattamenti a base di cannabis? Che cosa l’ha spinta in questa direzione?
La Medicina Integrata e Complementare mi ha da sempre affascinata molto. Lo studio della Medicina Cinese, in particolare, mi ha portata a conoscere l’Agopuntura, per la quale ho acquisito il diploma. Portando avanti un percorso molto intenso di studio sulle varie medicine e terapie integrate sono venuta a conoscenza della cannabis come fitocomplesso a uso terapeutico. In realtà la pianta della canapa mi è nota per quanto concerne tutti i suoi impieghi exta-terapeutici. Ciò che mi ha spinto ad approfondire l’argomento è stato anche il fatto che i pazienti, che venivano in ambulatorio per richiedere la cannabis terapeutica, fossero molto più informati di me sulle proprietà del fitocomplesso, specialmente in ambito oncologico. E questo mi ha dato lo stimolo a seguire questa direzione.
Qual è la sua visione generale sulla prescrizione di cannabis per i pazienti oncologici?
Ancora oggi si prescrive troppo poco la cannabis terapeutica per i pazienti oncologici, e non solo. In realtà questo aspetto è il riflesso di un altro problema, a mio avviso, più importante ovvero la poca conoscenza della materia. Il retaggio culturale della cannabis, conosciuta principalmente per uso ludico e ricreativo, ha un peso troppo considerevole e molte volte la sola proposta di prescrizione, per esempio, lascia il paziente perplesso e dubbioso. Ciò che mi spinge ad andare avanti è il feedback positivo che poi ricevo dai pazienti che si sono fidati e affidati a me e hanno iniziato la terapia con cannabis. Senz’altro questo tipo di prescrizione richiede un monitoraggio del paziente più intenso rispetto a terapie convenzionali, essendo una terapia molto sartoriale, ma i risultati che ottengo mi spronano a non arrendermi.
Come funziona una terapia di questo tipo? Come viene somministrata la cannabis terapeutica?
Innanzitutto la cannabis terapeutica può essere prescritta da ogni medico, come da Decreto del 9 novembre 2015. Con il DRG del 2 agosto 2018 sono state definite le indicazioni terapeutiche a carico del Sistema Sanitario Regionale. Ogni regione infatti presenta il proprio statuto che legifera in materia di prescrizione della cannabis terapeutica. E difatti la modalità di prescrizione è duplice. A seconda della normativa regionale e quindi della patologia di cui è affetto il paziente, il medico specialista può dispensarla in regime di rimborsabilità a carico del Sistema Sanitario Regionale mediante ricetta rossa e Piano Terapeutico. Per tutte le patologie che non rientrano nella normativa regionale, il medico prescrive la cannabis redigendo una ricetta galenica magistrale, seguendo formalismi della Legge 94/98 Di Bella, con la quale il paziente può acquistare la cannabis (il costo è a carico del paziente).
Sempre sulla base della normativa regionale, la cannabis terapeutica può essere prescritta in tre formulazioni farmaceutiche rimborsate, quali cartine/capsule apribili per decozione, cartine/capsule apribili per inalazione tramite vaporizzatore e olio per uso orale.
In quali casi viene prescritta?
La dottoressa Chiara Liberati
La cannabis terapeutica può essere prescritta per molte patologie. Gli ambiti in cui può essere utilizzata sono davvero tanti. Dobbiamo però tenere in considerazione un aspetto che reputo molto importante. Il nostro Sistema Endocannabinoide, scoperto di recente proprio a partire dallo studio dei cannabinoidi, ha un compito davvero rilevante, quello di promuovere l’omeostasi, o bio-equilibrio, ovvero il mantenimento di un ambiente interno stabile, nonostante le oscillazioni dell’ambiente esterno. Da qui ne deriva che le aree di potenziale utilizzo della cannabis terapeutica vanno dal controllo del ciclo cellulare, del sistema immunitario, al controllo del ciclo circadiano e quindi del ritmo sonno veglia. La cannabis gioca un ruolo anche nella neuromodulazione, nell’analgesia, nel controllo dell’appetito così come della nausea e del vomito, ad esempio nei malati oncologici. E così via. Sicuramente la modalità di prescrizione impatta sulla possibilità di avviare una terapia con cannabinoidi. In regime di rimborsabilità, infatti, devo attenermi a quelle che sono le indicazioni stabilite dalla regione Lombardia, lavorando in un Ospedale lombardo, e quindi il dolore cronico moderato-severo refrattario alle terapie farmacologiche attualmente disponibili (FANS, steroidi, oppioidi); analgesia in patologie che implicano spasticità (sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale); effetto anticinetosico ed antiemetico nella nausea e vomito, causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV; effetto stimolante l’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa; effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali; riduzione dei movimenti involontari nella sindrome di Gilles de la Tourette. Invece, al di fuori della sua indicazione terapeutica o nel caso delle infiorescenze di cannabis senza alcuna indicazione terapeutica, devo ricorrere alla ricetta galenica magistrale.
Quali risultati si possono riscontrare? O meglio: come può cambiare in termini qualitativi la vita di un paziente?
I pazienti che utilizzano la cannabis terapeutica riferiscono un miglioramento della qualità di vita. Molto spesso il feedback che ricevo è positivo non solo per quanto concerne il miglioramento del sintomo per cui è stata prescritta, ma soprattutto per il senso di benessere che avvertono i pazienti. Questo deve far riflettere, dal momento che il nostro Sistema Endocannabinoide, un sistema ancestrale, ha proprio come obiettivo il mantenimento e la preservazione dell’omeostasi, ovvero dell’equilibrio interno a fronte di variazioni esterne.
È fondamentale educare il paziente a un corretto utilizzo della cannabis, qualsiasi sia la formulazione prescritta. Altresì è fondamentale non abbandonare il paziente a un fai-dai-te, per evitare di incorrere in spiacevoli ed evitabili “effetti collaterali”.
Se da una parte continuano a essere pubblicati studi che evidenziano come la cannabis possa essere un trattamento che sostituisce del tutto o in parte gli oppiacei, togliendo il dolore con molti meno effetti collaterali (qui e qui), dall'altra un recente studio ha confermato la tendenzaanche per i pazienti oncologici. Cosa ne pensa? Cosa fate alle IEO?
Nella mia pratica quotidiana come Terapista del Dolore sto assistendo a un cambiamento di prospettiva da parte sia dal paziente oncologico che del paziente affetto da dolore benigno, come il malato fibromialgico, che sta acquisendo una maggior consapevolezza del suo reale stato di salute e questo include anche un maggiore interesse verso le cure che gli vengono somministrate, specialmente se parliamo di oppiacei.
Il cambiamento è lento ma è evidente e questo si traduce in una richiesta di terapie alternative (anche se a me non piace la parola “alternativa” e preferirei “complementare”) per il trattamento dei sintomi da malattia oncologica, incluso il dolore cronico. La cannabis rientra a pieno titolo tra le possibilità terapeutiche e in IEO sto portando avanti questa sensibilizzazione e informazione/formazione coi miei pazienti. Il retaggio culturale è forte e la paura di assumere una “droga” a volte non mi consente neanche di imbastire un dialogo comunicativo. Gli studi scientifici ci sono, la letteratura comincia a essere ricca di materiale scientifico. La raccolta dati che facciamo in IEO mi dà ragione e mi permette di affermare che la cannabis medicinale è una terapia importante per i pazienti oncologici, soprattutto per quanto concerne la gestione del dolore cronico. Ma non solo, anche molti sintomi legati alle terapie attive, quali nausea, vomito, insonnia tanto per citarne alcuni, traggono molto beneficio dall’assunzione della cannabis.
In diverse circostanze l’introduzione della cannabis nella terapia convenzionale del paziente mi ha permesso di ridurre la posologia della terapia oppiacea e in alcuni casi anche la sospensione della stessa. Quindi sono fermamente convinta che la cannabis possa rivelarsi un’arma molto potente per il paziente oncologico.
Gli studi e le ricerche dell’Istituto Europeo di Oncologia
Quali attività state portando avanti, in questo senso, all’interno dell’Istituto Europeo di Oncologia? Ci sono degli studi o delle ricerche in corso?
Allo stato attuale stiamo definendo un potenziale studio per valutare e quindi documentare l’efficacia della cannabis nella nausea e vomito da chemioterapia. Il lavoro in realtà è ancora lungo e di non semplice realizzazione. Speriamo di completare la proposta di studio entro il primo semestre del nuovo anno.
Guardando al futuro, prima o poi si inizierà anche uno studio clinico per testare gli effetti della cannabis sui diversi tipi di cancro? Ci può dire qualcosa in merito?
Per molti colleghi medici, con cui mi confronto, le applicazioni della cannabis terapeutica in campo oncologico come “farmaco antitumorale” sono ancora considerate estremamente futuristiche. Il solo pensiero “spaventa” molte menti scientifiche e razionali. Gli studi in vitro e in vivo finora condotti sono fortemente propositivi per un possibile ruolo dei Cannabinoidi come agenti antitumorali. Ad oggi sono stati pubblicati studi scientifici condotti sul Glioblastoma, un tumore cerebrale estremamente aggressivo con una prognosi estremamente infausta, sui tumori della mammella, del pancreas, sul melanoma, solo per citarne alcuni. Ciò che è emerso è un potenziale ruolo antiangiogenetico, ovvero un’azione di blocco dello sviluppo di nuovi vasi sanguigni e quindi un ostacolo alla metastatizzazione neoplastica. E ancora un’inibizione della crescita e proliferazione cellulare tumorale e un’induzione all’apoptosi e quindi alla morte cellulare. Questi sono solo alcuni dei possibili risvolti terapeutici in chiave oncologica della cannabis.
È evidente come tutto questo avrà un peso significativo nelle cure del malato oncologico e cambierà anche la prospettiva di approccio al tumore. È affascinante e molto interessante! Merita uno studio intenso e costante ma anche un'apertura mentale tale da promuovere investimenti nella ricerca scientifica.
Ci ha detto di aver da poco partecipato a un corso sulla cannabis in oncologia. Che cosa porta a casa da questa esperienza? Quali sono le ultime novità?
Sì, è così. Ho partecipato a un corso sulla cannabis terapeutica tenutosi a Padova presso l’Istituto Oncologico Veneto. Sicuramente c’è molto interesse, misto a curiosità, sulle proprietà terapeutiche di questo fitocomplesso, specialmente in campo oncologico. Più che novità, di cui ero la prima ad attendere, sono state confermate molte potenzialità della cannabis, che aspettano di essere confermate ulteriormente. Infatti (e purtroppo) la scarsità di evidenze scientifiche (ricordo che la maggior parte degli studi sono condotti in vivo e in vitro) ancora oggi costituisce un limite all’inserimento della cannabis terapeutica nelle linee guida o nei protocolli terapeutici.
In una intervista di qualche tempo fa il dottor Vittorio Guardamagna (Direttore della Divisione di Cure Palliative e Terapia del Dolore allo IEO, ndr) ci aveva detto che allo IEO, dopo un corso fatto nel 2018 sull'utilizzo di cannabis terapeutica per i pazienti oncologici, veniva prescritta a quasi tutti i pazienti perché "affiancare la cannabis alle terapie tradizionali secondo noi può essere lo standard migliore da utilizzare”. Secondo la sua esperienza, è ancora così?
“Affiancare la Cannabis alle terapie tradizionali secondo noi può essere lo standard migliore da utilizzare”. È un’affermazione che sposo pienamente. Credo fermamente che il paziente oncologico abbia bisogno di terapie di supporto alle terapie convenzionali tradizionali per la cura della patologia oncologica. Così come credo fermamente che ogni paziente è un individuo unico che merita una terapia personalizzata e cucita su misura; un po' come faceva il sarto una volta. E la Cannabis è una valida opzione terapeutica che possiamo offrire al nostro malato oncologico.
Il riscontro ambulatoriale ci conferma che il paziente trae un gran beneficio da questo fitocomplesso, sia in termini di miglioramento della qualità di vita, che di maggior controllo dei sintomi, e questo si traduce in una reale possibilità di riduzione fino alla sospensione delle terapie antalgiche che prescriviamo, per esempio gli oppiacei, che, come è noto, purtroppo sono accompagnati da numerosi e spiacevoli effetti collaterali.
Da una parte abbiamo una letteratura scientifica che inizia ad arricchirsi di evidenze, da un’altra l’esigenza di portare avanti la ricerca scientifica sulla cannabis per acquisire ulteriori informazioni, comprendere più a fondo i meccanismi di azione e tanto altro. Nonostante questo, purtroppo ci sono ancora barriere ben radicate legate ai retaggi culturali che riconducono la Cannabis al suo utilizzo ludico e ricreativo, barriere legate anche alla poca conoscenza della materia da parte della classe medica e la paura verso qualcosa che non si conosce spinge molti colleghi a dissuadere pazienti che vogliono avvicinarsi a questa terapia integrata di supporto.
Il mio direttore mi ha senz‘altro trasmesso la sua curiosità e passione verso questo fitocomplesso meraviglioso che richiede un costante studio. Porto avanti questo lavoro con convinzione e con la consapevolezza che la strada, anche se ancora lunga da percorrere, è quella giusta per aiutare chi soffre, e nello specifico il malato oncologico.
Gli effetti della cannabis sul cervello
Attualmente, soprattutto oltreoceano, sono in corso numerosi studi nati con lo scopo di capire gli effetti della cannabis sul cervello, ma le opinioni sono discordanti e i dubbi sono numerosi; ne abbiamo parlato anche in un articolo dedicato a una meta analisi legata al consumo giovanile. Qual è la sua opinione in merito?
Quasi tutti gli articoli scientifici che studiano gli effetti della cannabis terapeutica in campo medico concludono affermando l’enorme potenzialità di questo fitocomplesso, ma al tempo stesso l’urgente necessità di ulteriori studi e ricerche sull’uomo. Anche per quanto concerne l’impiego della cannabis tra i giovani, i dati che emergono dagli studi per stabilire gli effetti e gli impatti sul neurosviluppo sono molto contrastanti.
A mio avviso ci sono alcuni aspetti da tenere in considerazione. I campioni inclusi negli studi sono spesso eterogenei: la popolazione studiata è mista come fascia di età, come eventuali comorbidità presenti, come tipologia di cannabis utilizzata sia nella formulazione che nella modalità di assunzione. Inoltre va differenziato l’uso ludico e ricreativo della cannabis versus l’uso terapeutico e controllato della stessa. Due utilizzi diversi e due effetti diversi. La disinformazione e il retaggio culturale costituiscono a mio avviso delle barriere per una corretta conoscenza della materia e quindi per un uso consapevole. Sicuramente ulteriori studi sono necessari, poiché lo sviluppo neuronale è aspetto molto delicato e al tempo stesso complesso nella fase di crescita di un giovane.
Grazie.
Grazie a voi per questa opportunità di “parlare” di cannabis terapeutica. Siamo davanti a un fitocomplesso dalle mille proprietà che chiede di essere conosciuto e studiato. Noi conosciamo la cannabis nei suoi due principali componenti, THC e CBD. In realtà la cannabis è molto di più. Vanno tenute in considerazione infatti tutte le altre “sostanze”, contenute nella pianta, e parlo di terpeni, terpenoidi, flavonoidi, e tanti altri, che contribuiscono a quello che viene definito “Effetto Entourage” e che caratterizza una tipologia di cannabis da un’altra. Anche questo aspetto merita di essere studiato e approfondito.
La cannabis terapeutica è una risorsa preziosa che Madre Natura ci ha donato. Facciamone un buon uso, rispettiamola e studiamola per poter dare un concreto aiuto a chi dalla Cannabis può trarne beneficio in termini di miglioramento della propria qualità di vita.
Martina Sgorlon